“Samsara” e la comunicazione delle nostre anime

L’aspetto interessante del film (uscito in sala il 23 maggio e distribuito da ExitMedia) era nella sua innovatività, nel proporre una nuova prospettiva di cinema. Ecco, bisognerebbe riuscire a descrivere e fare vivere la musica in maniera diversa rispetto a quanto siamo abituati, così come quel film proponeva un nuovo modo di comunicazione nel fare un film. La storia è semplice, si tratta della morte di una saggia di un Paese – Laos – e della sua reincarnazione, secondo la regola buddista, dopo molte traversie e composizioni e ricomposizioni dell’energia, in una tenera indifesa capra accudita da una bambina, in un altro Paese della Terra (Tanzania). Il passaggio dell’energia è stato reso dal regista spagnolo Lois Patiño con un quarto d’ora di buio – lo schermo totalmente buio – misto a come quando la televisione non funziona e l’immagine è fatta di fulmini e sonorità fastidiosissime per il nostro udito, e, soprattutto di luce intermittente, senza alcuna carenza armonica ma improvvisa, fino a rendere praticamente cieco lo spettatore. Io per salvare la vista ho chiuso gli occhi e messo gli occhiali da sole, ho anche seriamente pensato di andarmene dalla sala per letteralmente salvare la vista. Perché allora ne parlo tanto è stato inguardabile nel vero senso della parola questo film di nicchia che sconsiglio di andare a vedere perché dannoso alla vista?

Perché questo film ha, comunque, proposto un nuovo modo di fare e mostrare le immagini di un film. Tolto il serio pericolo per la vista, il film è nuovo. Anche il pubblico che ha attirato, non più di una decina di persone molto disciplinate in sala, era diverso da quello dei film cui siamo abituati. Il film prometteva una specie di “meditazione” guidata considerato che a un certo punto suggeriva con delle scritte “adesso chiudi gli occhi” di ritrarsi in sé e meditare, appunto. Non mi è sembrato fosse riuscita la meditazione: eravamo tutti intenti a evitare di farci saltare la vista e, in buona parte, l’udito. Godibili le poche immagini in cui il regista si diverte a sovrapporre e mischiare visivamente la realtà. Ad esempio, le luci del tramonto che entrano nelle figure delle persone fisiche, o le tende leggere che nella realtà, servono a tenere lontano dal letto mosche e zanzare, i cui disegni vengono lentamente portati in primo piano e, sovrapposti alla fisicità della donna morente danno immagini così delicate, sofisticate, non solo per i colori ma per tutto un insieme di bellezza armonica visiva. Questo prima del “grande salto” nei quindici minuti di messa a dura prova dei sensi dello sparuto, impavido, pubblico.

In realtà, la “resa” di ciò che è il buddismo (e cosa ritiene della morte e della reincarnazione) è minima, quasi elementare, troppo semplice. Nonostante il “ritmo” del film sia troppo lento, è comunque interessante lo sforzo di cambiare le regole della filmografia, di cercare di offrire un “prodotto” allo spettatore da “digerire”, da mangiare. Sicuramente si tratta di un’esperienza meditativa sensoriale piuttosto che di un film. Eppure, guardandolo a occhi chiusi, aperti e semi aperti quando si riusciva, ho pensato alla musica grazie a questo film. Come si fa a descrivere una musica? Facciamo il caso in cui non si conoscano le note e non si possa quindi ricostruire raccontandola e descrivendola richiamando le note specifiche, come si fa a trasmettere, a dire, a descrivere una musica? Togliendo la possibilità di “dirla” cantandola, come si comunica?

La musica è un insieme di frequenze. Le frequenze sono luce, energia. Come si fa a descrivere le frequenze di una musica specifica. Marcel Proust, nel romanzo La prigioniera, ha scritto: “Mi chiedevo se la musica non fosse l’esempio unico di ciò che sarebbe potuta essere la comunicazione delle anime”. Ecco, la musica, cioè le frequenze, sono la nostra energia, una energia che si diffonde e ha un proprio “timbro”, come quando noi vediamo una persona, o le parliamo o la pensiamo o altro, e noi pensiamo la sua essenza, la sua anima, quello che è. E che secondo il buddismo e molte altre religioni c’è prima della nascita e dopo, essendo una essenza – il vero sé – che vaga e si trasferisce, come l’anima della donna nel corpo e anima della capra. E via così. In una rimodulazione costante dell’energia. Sarebbe interessante che ora che comincia a mostrarsi un nuovo modo di fare cinema, ci si spingesse ancora più in là, decifrando il modo di comunicare delle nostre anime. Anche con la musica.

Aggiornato il 06 giugno 2024 alle ore 17:29