L’ultimo colonnello della commedia all’italiana ci ha lasciati vent’anni fa. Nino Manfredi è mancato il 4 giugno 2004. Insieme a Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Marcello Mastroianni ha rappresentato un’epoca irripetibile del nostro migliore cinema. Lo stile di Manfredi, la sua professionalità, il suo talento creativo sono stati fondamentali per almeno quattro generazioni di cineasti. Era caratterista e primo attore, umorista e cantante (a modo suo), uomo del popolo e raffinato intellettuale. Per definire questa, più segreta, immagine del suo talento, bastano le regie di L’avventura di un soldato, folgorante episodio senza parole di L’amore difficile del 1962, l’autobiografico Per grazia ricevuta del 1971, il crepuscolare Nudo di donna del 1981. Una sortita ogni dieci anni, quasi a ricordare a tutti che non era soltanto un buon esecutore, ma un autore con la lettera maiuscola. Non a caso, alla fine della carriera, affidò sempre più spesso la cinepresa al figlio Luca, riservandosi partecipazioni sornione a copioni su cui aveva messo, sempre con discrezione, le mani in prima persona. Nato a Castro dei Volsci (ora in provincia di Frosinone) il 22 marzo del 1921, di famiglia contadina e ciociaro nell’animo come amava rivendicare sempre, divenne romano del quartiere San Giovanni fin dai primi anni Trenta seguendo il padre poliziotto, la mamma e la sorella minore.
Per far contenta la madre si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza laureandosi nel 1945, ma aveva già le idee chiare sulla sua vera vocazione, tanto da diplomarsi all’Accademia d’arte drammatica nel 1947 per debuttare lo stesso anno sotto la guida di Orazio Costa nella compagnia Gassman-Maltagliati, misurandosi su testi della moderna drammaturgia. Da bambino aveva trascorso un lungo periodo in sanatorio per tubercolosi e a qual periodo faceva risalire la sua passione per la musica e il palcoscenico. Di tutto questo si troverà traccia in Per grazia ricevuta, ma la gavetta del giovane Nino passa prima per il gran teatro (con Giorgio Strehler ed Eduardo De Filippo già alla fine degli anni Quaranta), la rivista radiofonica (con Paolo Ferrari e Gianni Bonagura su testi Marcello Marchesi, Vittorio Metz e Dino Verde), la commedia leggera. Il debutto al cinema è datato 1949 con il modesto Torna a Napoli di Domenico Gambino, ma dovrà aspettare il 1955 per trovare una sua precisa definizione attoriale grazie a maestri come Antonio Pietrangeli e Mauro Bolognini, Alla stessa data è legato il suo matrimonio con Erminia Ferrari, rimasta sua moglie fino alla fine, e al successo nella commedia musicale che diverrà travolgente con Un trapezio per Lisistrata (1958) e Rugantino (1962) sempre a firma Pietro Garinei e Sandro Giovannini. In televisione, infine, grazie proprio alla sua versatilità di intrattenitore, divenne popolare nel 1959 con Canzonissima col celebre tormentone Fusse che fusse la vorta bbona del barista di Ceccano.
Con gli anni Sessanta diventa attore con la lettera maiuscola e la lista dei suoi film indimenticabili si allunga a dismisura. Per citarne solo alcuni: L’audace colpo dei soliti ignoti (a firma dell’amico Nanni Loy che gli avrebbe offerte più di un ruolo memorabile), La parmigiana di Antonio Pietrangeli, Anni ruggenti di Luigi Zampa, Operazione San Gennaro di Dino Risi, Nell’anno del Signore di Luigi Magni in cui diede un volto, per la prima volta, al feroce epigrammista antipapista Pasquino. Ma è nel decennio successivo che la sua impronta inconfondibile si incide nella storia del cinema italiano: Girolimoni, il mostro di Roma (1972) di Damiano Damiani, Pane e cioccolata di Franco Brusati, C’eravamo tanto amati (1974), e Brutti sporchi e cattivi (1976) di Ettore Scola, In nome del Papa Re (1977) di Luigi Magni, senza contare l’indimenticabile Geppetto della serie Pinocchio di Luigi Comencini per Rai 1 (1972) e il successo come cantante in vetta alla hit parade nel 1970 con Tanto pe’ cantà, da un classico di Ettore Petrolini.
Dagli anni Ottanta in poi la sua carriera si orienta sempre di più sulla tivù con serie di grande successo come Linda e il brigadiere, la pubblicità (memorabile il successo in uno spot al caffè), le apparizioni come ospite canterino al Festival di Sanremo, fino al suo congedo dal grande schermo con lo smemorato di La fine di un mistero di Miguel Hermoso e dalla tivù con Un posto tranquillo diretto dal figlio Luca nel 2003, poco prima che un violento ictus lo colpisse. La sua vena vernacolare, esaltata al meglio in un capolavoro come Straziami, ma di baci saziami di Dino Risi (1968) lo rese idolo di un cinema italiano che parlava al mondo ma in qualche modo sembrò chiudergli la porta al successo internazionale, complice anche una sua certa riluttanza ad abbracciare le grandi produzioni estere; ma film come Il padre di famiglia di Nanni Loy o lo stesso Pane e cioccolata dicono bene quanto ricco di sfumature fosse il suo repertorio di grande professionista, spesso incline all’understatement e alla malinconia. Vincitore di moltissimi premi nazionali e del Premio a Cannes per il miglior esordio con Per grazia ricevuta, Nino Manfredi resta legato comunque soprattutto a quella romanità universale, cinica in apparenza, appassionata in segreto.
Aggiornato il 05 giugno 2024 alle ore 08:35