È in cerca dell’amore, il caro assassino. O, almeno, quello che pensa o, meglio, si chiede incessantemente sia l’amore. Il caro Joe non sa cosa sia, ha tante pulsioni, una di seguito all’altra, senza soluzione di continuità verso lei, l’altra, un’altra, qualcuna, qualcun’altra, fate voi. You non è però la donna di turno di cui si infatua e per la quale uccide via via tutti quelli che le vivono intorno inclusa la lei del momento, ma è l’amore. You è l’amore. Questo “Tu” sconosciuto e sfuggente misto, nella testa perversa e criminale di Joe, al sangue di una masnada di persone poverette che gli capitano a tiro, per caso o per sbaglio non importa. La serie tivù deve avere avuto successo perché è alla quarta stagione e gli episodi di ciascuna sono sempre più numerosi. La sceneggiatura è perfetta, invitante come lo era la storia – e numerose serie – House of Cards del presidente degli Stati Uniti assassino interpretato dall’attore Kevin Spacey, poi perseguito nella vita vera per la moda processuale del MeToo. Le immagini di You sono belle, gli ambienti resi bellissimi. Le scene sono cruente. Molto, anzi davvero troppo realistiche e cruente.
In una Londra elegante ma cupa invece è ambientato il criminale You. Che comincia negli Stati Uniti, prima a New York. Poi passa a Los Angeles, poi arriva a Londra. Il tutto perché l’assassino protagonista si muove e trasferisce molto confondendo la sua identità. Anzi, proprio rubandola a volte ad altri, che vengono rinchiusi uno ad uno in una vera “gabbia” da cui escono pressoché morti stecchiti. Non sto qui a raccontare quali evidenti problemi psichiatrici abbia Joe, perché sono detti qua e là negli episodi delle serie – magnifico quando scarica tutte le colpe sullo psicologo addossandogli crimini su crimini come “punizione” per un tradimento – e non sono interessantissimi. Per lo più ci viene detto, attraverso i flashback, che da bambino aveva subìto lo stesso comportamento da parte della scombinatissima mammina che poi si era liberata di lui dicendogli di andarsene perché doveva ricominciare per sentirsi in grado di “guarire”, senza di lui.
La parte avvincente della serie, infatti, è un’altra: quella in cui si parla di amore – sconosciuto – di matrimonio – bocciato, disintegrato – di figli – distrutti, colpiti e affondati – di se stessi – sempre vivi. Non importa assolutamente se a scapito degli altri, uccisi e tolti di mezzo al fine di mantenere in vita se stessi. È bellissimo quando lo spettatore viene messo di fronte, mostrati sullo stesso identico piano, il morbillo del figlioletto presto scaricato tra pochi tormenti e prontissime assoluzioni verso se stesso e l’uccisione, anzi le numerosissime uccisioni e ammazzamenti con acidi, o con seghe elettriche o lasciati morire di fame e di inedia nella gabbia, delle altre persone – uomini e donne che siano. Joe è sempre vivo. Mai scoperto, prospera da un continente all’altro senza alcun problema, o rimorso, senza nessun dubbio o perplessità su se stesso. Il bello della serie è, da una parte, come detto, l’aspetto “visivo”, dall’altra il fatto che il regista pone lo spettatore di fronte a crimini che rende paradossalmente normali e ovvi, non solo per una mente malata come quella di Joe.
Insomma, per esempio, il marito pensa e vorrebbe la morte della moglie perché questa lo tradisce, o viceversa, ed ecco che, con certosina attenzione e cura, la storia e le immagini della serie fanno vedere plasticamente la morte della moglie. O del marito. Come se i pensieri più comuni e ovvi di due persone disamorate divenissero realtà filmata, lì davanti ai nostri occhi. Joe “giustifica” sempre se stesso, si “salva” sempre, nel senso che si “giustifica” sempre dicendo allo spettatore che lo fa, cioè che lui rinchiude, sbrana, uccide, seziona, azzanna, scarnifica, accoltella, disintegra, seppellisce, cancella e se ne va sempre e solo per il “bene” della “amata” del momento, informando se stesso e lei che è proprio per lei che lo fa, per “facilitarle” e renderle “migliore” la vita.
E lo stesso ci viene mostrato quando è lei a fare lo stesso di Joe, quando quest’ultimo incontra e ha a che fare con una pazza assassina tale e quale a lui, che dice appunto che lo fa “perché gli vuole bene”, cioè uccide, ammazza, squarta, nasconde, finge, assassina, fa morire e muore essa stessa per il suo “bene”. L’amore non esiste, You, che è l’amore che non è tale, non esiste. È un po’ delirante questa serie, forse proprio per questo è divertente. Irreale. Come la realtà non può essere. Perché forse nella realtà, qua e là, ci si augura che Joe o Will o Jonathan vengano scoperti e rinchiusi e anche perché quando davvero esiste il vero You, cioè l’amore, non si uccide sempre e solo necessariamente l’altro e tutti gli altri volendogli bene, provando empatia, immedesimandosi nell’altro. Negli altri. Da vedere.
Aggiornato il 24 maggio 2024 alle ore 17:42