Visioni. “Stranizza d’amuri”, l’appassionato esordio di Giuseppe Fiorello

Giuseppe Fiorello debutta alla regia firmando un bel racconto di formazione. Stranizza d’amuri, già titolo di una splendida canzone di Franco Battiato, racconta la storia di due giovani innamorati che vivono nel sud-est siciliano dei primi anni Ottanta. È la lunga estate calda dei Mondiali di calcio. I due adolescenti si scontrano a bordo dei loro motorini lungo una strada di campagna. Dall’incontro casuale nasce un’appassionata amicizia. Che non viene ben vista dalle famiglie e dai ragazzi del paese. Coraggiosi e affamati di vita, Nino (un solare Gabriele Pizzurro) e Gianni (un volitivo Samuele Segreto) non si curano dei pregiudizi, delle dicerie e vivono liberamente. Una libertà che gli altri non comprendono e non sono disposti ad accettare. Il piccolo grande film, prodotto da Riccardo Di Pasquale ed Eleonora Pratelli per Fenix Entertainment e Ibla Film, esce nelle sale italiane nel marzo dello scorso anno, grazie a Bim distribuzione ed è visibile su Sky e in streaming su Now. Il lungometraggio riceve due premi: il Nastro d’argento al Miglior regista esordiente e il Globo d’oro per la Miglior opera prima. Il film è stato girato interamente nell’isola. Tra i luoghi immortalati dalla macchina da presa si riconoscono gli affascinanti paesaggi naturali del Siracusano: intorno a Noto, Marzamemi, Priolo e Pachino, ecco i vicoli e le piazze dei borghi di Ferla e Buscemi.

Nino è il figlio maggiore in una famiglia di creatori di fuochi d’artificio. Il giovane ha concluso con profitto l’anno scolastico. Il padre, Alfredo (un impetuoso Antonio De Matteo), e la madre, Carmela (una raggiante Fabrizia Sacchi) regalano a Nino un motorino di seconda mano. Gianni è un suo coetaneo fresco di riformatorio che vive in un altro paese insieme alla madre (un’ondivaga Simona Malato) e al patrigno, Franco (un evanescente Enrico Roccaforte), che gli ha dato una casa e un lavoro nella sua officina, ma che lo tratta con estremo disprezzo. Di fronte all’officina, si trova il bar i cui avventori prendono costantemente in giro il ragazzo.

Il film è dedicato a Giorgio e Antonio, vittime del delitto di Giarre, in provincia di Catania. Un duplice omicidio avvenuto nel 1980. Le vittime sono il venticinquenne Giorgio Agatino Giammona e Antonio Galatola detto Toni di dieci anni più giovane, da tutti soprannominati “ziti” (“fidanzati”), in senso dispregiativo. Scomparsi da casa due settimane prima, vengono trovati morti, mano nella mano, uccisi da un colpo di pistola ciascuno alla testa. La matrice del delitto è chiaramente omofoba. All’epoca, l’uccisione dei due giovani suscita indignazione in tutta Italia. Non a caso, per reazione, a Palermo viene fondato il primo circolo Arcigay. Il nipote, minorenne, di Toni, si dichiara colpevole. Sostiene che i due ragazzi lo hanno costretto a sparare. Dopo due giorni ritratta: dichiara di essersi assunto la responsabilità su pressione dei carabinieri.

Le attenzioni di Giuseppe Fiorello sono rivolte alla rappresentazione del contesto storico-sociale in cui i protagonisti vivono le loro gioie e i loro affanni. La narrazione si concentra su una Sicilia patriarcale, attraversata da sentimenti primordiali. L’attore-regista e i suoi sceneggiatori Carlo Salsa, Andrea Cedrola e Josella Porto decidono di cambiare i nomi ai protagonisti del racconto (da Giorgio e Toni a Gianni e Nino), l’età (rendendoli sedicenni), l’anno in cui si svolgono i fatti (il 1982 invece del 1980). L’obiettivo è chiaro. In questo scenario plumbeo e omertoso, Gianni e Nino si incontrano per caso ma iniziano ad amarsi per scelta. È questo l’aspetto che più affascina il cineasta. Il suo desiderio è quello di raccontare una storia d’iniziazione all’amore puro. Non è interessato all’indagine sul delitto. La fiaba nera siciliana, sottolineata da Cuccuruccuccù e dalla colonna sonora musicale di Giovanni Caccamo e Leonardo Milani, ricrea un universo di abbagliante semplicità percorso da striature di irredimibile ferocia. Il copione descrive in maniera implacabile i personaggi. Se i perdigiorno omofobi del bar e il patrigno appaiono segnati dalla violenza, i genitori di Nino risultano calorosi e accoglienti. Salvo rivelarsi promotori di un’insopportabile arretratezza culturale. D’altro canto, la madre di Gianni sorprende per il carattere umbratile e fatalista. Un fatto è certo: Stranizza d’amuri è una storia coraggiosa che mostra gli effetti della cultura mediterranea tradizionale sulla società coeva.

Aggiornato il 24 maggio 2024 alle ore 19:30