Tempo fa, leggendo Natural Right and History, di Leo Strauss, rimasi colpito dall’affermazione che per comprendere il carattere della modernità si dovesse tener presente che “la congiunzione tra ateismo ed edonismo politico” prodotta dalla rinascimentale riscoperta dell’Epicureismo aveva generato una rivoluzione “che si diffuse dappertutto e alle cui proporzioni nessun altro pensiero si è mai finora avvicinato”. Poiché dell’Epicureismo quasi mai si tratta nei manuali di storia del pensiero politico, quella suggestione mi rimase impressa e se ne trova traccia in molti dei miei scritti. E così dopo averli ripresi e rivisitati mi sono reso conto che per delineare l’influenza dell’Epicureismo tra gli esponenti della hayekiana tradizione del “vero individualismo”, era necessario volgere lo sguardo anzitutto a quel che avevano scritto Epicuro e Lucrezio sulla nascita del diritto, delle istituzioni sociali, e poi al modo in cui la loro concezione dell’utilità si era trasmessa alla scienza economica moderna e, in particolare (anche se Carl Menger e Friedrich von Hayek, ma non Ludwig von Mises, mai li menzionano) alla teoria dei valori soggettivi e delle istituzioni degli “austriaci”.
Trovare il nesso teorico è stato facile. Più difficile (scartata l’ipotesi che sia stato tramite Savigny) avanzare ipotesi plausibili su come concretamente quella trasmissione sia avvenuta. Non so se ci sono riuscito – le uniche tracce sono infatti una citazione mengeriana di Ferdinando Galiani e i positivi riferimenti di Mises all’Epicureismo – ma sono altresì convinto di aver fornito elementi per più proficue indagini. Il risultato è un libro (Epicureismo e Individualismo. Per una storia della filosofia politica) che consente di fare luce non soltanto sulla presenza dell’Epicureismo nei pensatori dai quali Hayek (senza mai farne cenno) dichiara d’essere stato maggiormente influenzato: Bernard de Mandeville, David Hume e Carl Menger, e, come nel caso di Bruno Leoni e di Ludwig von Mises, in quelli che ebbe come interlocutori ed amici, ma anche sulla consistenza della tesi secondo la quale il Liberalismo e la modernità siano una sorta di secolarizzazione del Cristianesimo.
In effetti, se oltre che negli esponenti dell’individualismo hayekiano (compresi quanti dell’Epicureismo trattano più o meno criticamente: Montesquieu, Adam Smith, Edmund Burke e Adam Ferguson), la riscoperta dell’Epicureismo lascia un’evidente impronta in filosofi come Baruch Spinoza, Pierre Gassendi, Thomas Hobbes e Pierre Bayle, della modernità bisogna rivisitarne le fonti e riscriverne la storia. Magari prestando maggiore attenzione a quelle della loro “critica della religione” e a ciò che li porta ad abbandonare l’indifferenza per la propria ed altrui indigenza professata dai classici, per occuparsi tanto delle condizioni politiche e giuridiche che consentono ad ogni individuo di cercare di migliorare la propria situazione, quanto della libertà come diritto di essere diversi. Il volume, quindi, tratta di molte questioni (anche dei Libertarians) e vorrebbe essere anche un invito a mettere in discussione la tesi aristotelica dell’uomo come animale naturalmente politico” e a sostituirla, con tutto ciò che comporta, con quella che esso è anzitutto un essere umano che scambia. E che tutto il resto è una possibilità. Ma questo, come al solito, è un altro discorso.
(*) Senior fellow dell’Istituto Bruno Leoni
Aggiornato il 09 aprile 2024 alle ore 13:58