“Chi dimentica il proprio passato è condannato a riviverlo”, ammoniva Primo Levi. E Primo Levi, insieme con il patriota Ippolito Nievo, Federico De Roberto de “I Vicerè” e il triestino di lingua slava Boris Pahor, è uno degli autori del pantheon d’ispirazione di Nunzia Gionfriddo. Ma, attenzione, per “ispirazione” qui s’intende il ruolo di autori che con romanzi storici “non di parte” hanno insegnato ai giovani come – e forse di più – di un manuale scolastico.
Questa è la sfida di Nunzia Gionfriddo: la combattente, l’eroina, l’insegnate, la scrittrice e la nonna, che spiega la trama e l’intento circondata da alcuni dei suoi nipoti, i quali premurosi le fanno da web master, da supporto, uno (Valerio) ha disegnato la copertina del libro. Essi sono l’espressione del lettore finale a cui la scrittrice partenopea mira col suo ultimo romanzo: Il rumore del silenzio, edito da Kairós, per la sua collana Kairós Storia, presentato a Roma nell’ambito della Rassegna Iplac presso la Galleria Arte Sempione di Mario Borgato.
È un grido, una chiamata, un’esortazione ossimorica rivolta al più vasto pubblico “per smuovere l’apatia dei pigri e la paura dei pavidi” sul passato degli anni Settanta-Ottanta di piombo. L’obbiettivo, però, è arrivare all’animo delle nuove generazioni: offrire ai giovani la possibilità della conoscenza in forma narrativa dei reduci del fascismo e dell’antifascismo, precipitati nella voragine del terrorismo e delle mafie, può indurre l’impegno al cambiamento e alla trasformazione. Il sottotitolo del libro recita infatti Donne in marcia contro la camorra, ma l’autrice introduce subito il suo sguardo più ampio e spiega che, come indicava Paolo Borsellino, è più esatto parlare “di mafie”.
Le donne sono al centro non perché sia un libro “femminista”, o storico femminile, ma perché in questa storia corale le donne sono per la scrittrice la novità con un Presidente del Consiglio donna e sono il coraggio degli ideali nazionali per un nuovo patriottismo.
Sono le donne come Nunzia: nata a Napoli, laureata in Lettere e Filosofia all’Università “Federico II”, insegnante negli Istituti Medi Superiori, collaboratrice con il “Dipartimento di Italianistica” e con la cattedra di “Storia della Scienza” dell’Università “La Sapienza” di Roma, storica e collaboratrice di prestigiose riviste letterarie, che dal 2013 sente il richiamo di scendere nel romanzo per trasmettere valori ed esortare all’impegno.
Nel 2019 pubblica Cioccolata calda per due, Pegasus Edition, nella triade al Concorso Milano International. Mentre premi e riconoscimenti si susseguono, la scrittrice matura la concezione di una “nuova resistenza” non più ideologica, ma aperta e guidata dalle donne come emerge dal romanzo. È il motto, il leit motiv e l’inno di Nunzia: “Resistenza, resistenza sempre”. Ma quale? “Stiamo vivendo una nuova resistenza contro un nemico sanguinario come, o forse di più, dei nazifascisti. I giovani lo hanno capito. (…) Non è più tempo di armi, quelle lasciamole ai miserabili che le usano. La battaglia va fatta con i cortei. È un non volere girare la testa dall’altra parte e dire ‘non sono fatti miei’, ‘chi te lo fa fare’. (…) Questi ragazzi, insomma, stanno recuperando temi abbandonati da molti, come la scuola, l’ambiente, la qualità della vita. Combattono la droga ed esortano alla pace e alla libertà da ogni sopruso”.
Dalla memoria l’autrice rievoca gli anni delle manifestazioni corali, delle staffette tra cui la celebre Fininvest-Rai del 1991 di Michele Santoro e Maurizio Costanzo per Libero Grassi a cui partecipò anche Giovanni Falcone, quando nella penisola si diffuse un brivido di impegno e di partecipazione unitario, quando l’ideologia lasciò il passo alla condivisione contro la corruttela, contro le implicazioni della malapolitica, contro l’inefficienza e l’incapacità dello Stato.
La trama delle veloci ma fittissime 146 pagine è stata ripercorsa dalla presidente di Iplac Maria Rizzi, la quale ha sottolineato che Il rumore del silenzio completa una trilogia Kairòs (Gli angeli del rione Sanità e Sopravvissuti), copre un arco di trent’anni, presenta una struttura corale ed usa un espediente narrativo. Una delle protagoniste centrali, Maria, rievoca il passato mentre attraversa il tunnel di un coma. “È tra tempo e non tempo che si dipanano i ricordi – afferma la Rizzi – e nell’affiorare e nello sprofondare elastico, scandito dei tic toc di una pendola immaginaria, si chiudono i capitoli. Io, che ho avuto una drammatica esperienza del coma di una persona cara, posso dire che effettivamente si manifesta questo ascensore tra vita e non-vita, questo affiorare quasi a presenza per essere risucchiati dal tunnel. Ho pensato allo spiritualismo di Henri Bergson, secondo il quale ‘è il reale a farsi possibile e non il possibile che diventa reale’ per spiegare la forza del racconto”.
Il critico-poeta Sandro Angelucci ha sfiorato una domanda impegnativa: “Lei crede nell’al di là?”. “Sono laica, ho studiato filosofia – ha spiegato l’autrice – provengo da una famiglia molto religiosa, ho avuto uno straordinario maestro di scienze, un chimico, secondo il quale la vita dopo la morte è rientrare nell’energia. Io sento che questa concezione mi è vicina. Siamo e torneremo energia”.
Veniamo al reale, cioè alla trama. Siamo tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta: a Napoli ‘O Malommo del contrabbando lascia la piazza al boss Raffaele Cutolo con la sua Nuova Camorra organizzata. Il reclutamento massiccio dei giovani per lo spaccio nelle zone più disperate della periferia o nelle carceri è feroce. Maria e suo marito Lucio, benestante avviato alla professione forense, vogliono fare qualcosa di concreto. Sono i figli dei protagonisti degli insorti delle “quattro giornate di Napoli”, che durante la Seconda Guerra Mondiale liberarono Napoli dai tedeschi. Insieme ai loro amici Enzina, Totonno, Rosetta e Ciruzzo si mettono all’opera. Maria promuove gli ideali di giustizia nella scuola, Lucio scrive articoli di denuncia sui giornali, Totonno pronuncia discorsi animosi in radio. “Bisogna andare tra la gente, parlare con chi è indifeso, ascoltare e capire, quindi denunziare”. Tra piccole vittorie e il timore di essere tra le vittime della malavita, questi giovani portano eroicamente avanti i loro propositi, mentre la Campania e l’Italia si bagnano di sangue: le esecuzioni di Pier Paolo Pasolini, di Aldo Moro e del generale Carlo Dalla Chiesa, la bomba sul treno Italicus e quella in piazza della Loggia a Brescia, dove Maria e Lucio assistono inermi, vittime di uno Stato travolto.
Ma ecco che affiora il coraggio e s’eleva il messaggio di Nunzia Gionfriddo: le parole. “Noi siamo coloro che non hanno potere politico ‒ fa dire l’autrice all’insegnante Maria ‒ ma hanno acquistato la facoltà di parlare e lottare con le armi del linguaggio, della pace, dell’attivismo”. E ancora: “L’uomo ha bisogno di comunicare, urlare, strillare, raccontare, discutere, confidare, accusare, offendere, pregare, disperarsi, ma con le parole. Il silenzio è un attimo di pausa dalle parole, un attimo!”.
I protagonisti sono ispirati a personaggi realmente vissuti. Lucio rievoca l’impegno e il decoro di Giancarlo Siani, il giornalista ucciso con dieci colpi alla testa il 23 settembre 1985 dalla camorra. E l’attivista radiofonico Totonno rievoca il massacro di Peppino Impastato, che pur nato in una famiglia legata alla mafia si era ribellato, ma il 9 maggio 1978 venne picchiato a morte e fatto saltare in aria con sei chili di tritolo.
Scrive Nunzia Gionfriddo, di cui l’impeccabile Federica Sciandivasci ha letto alcuni brani: “Piangi amore mio un vero giornalista, un grande professionista che non si è fatto mettere in ginocchio da nessuno e che quando è morto è morto in piedi, con la testa alta e la penna in mano. Perché i giornalisti possono cadere mille volte, ma se il loro cuore è puro si rialzano mille volte. Piangi amore mio, un professionista onesto e consapevole, il cui mestiere è stato quello di cercare la verità, che, una volta scoperta, non va nascosta per paura o per ricatto o per interesse, ma va offerta agli onesti come lui, che la custodiscono perché non vada persa ma di essa si mantenga la memoria”.
Aggiornato il 11 marzo 2024 alle ore 16:35