Mastroianni, compie cent’anni l’antidivo della Ciociaria

“Buon centenario Marcello”. Graziano Marraffa, presidente e fondatore dell’Archivio storico del cinema italiano, celebra così dal palco del Teatro Anfitrione di Sergio Ammirata nel quartiere romano di San Saba, l’evento in calendario per i cento anni dalla nascita del “bel ciociaro d’Italia”. Se di Marcello Mastroianni si sa quasi tutto, se sono noti i tratti salienti dell’attore, del divo e del mito, è la volta di riscoprire l’uomo iniziando dai suoi natali. Inizia con questo singolare profilo il viaggio nella vita di uno degli interpreti e testimoni del grande cinema tricolore. A rendergli omaggio e farne memoria all’Anfitrione sono in primis gli organizzatori e gli ospiti d’onore. A cominciare da Daniele Luxardo, presidente del Comitato Mastroianni 100, che si è costituito per dare vita alle manifestazioni, il cui calendario è stato presentato alla Camera dei deputati alla presenza del presidente della 7ª Commissione Cultura, Federico Mollicone. E l’onorevole Mollicone, che non è mancato al pomeriggio teatrale, nel suo intervento ha citato Umberto Eco. Perché il politologo Eco ha dedicato svariate fenomenologie all’amico Marcello per sintetizzarne l’essenza: “Mastroianni – ha scritto – era sempre lui, uno di noi”. Il divo e l’antidivo. Il ricordo prende via anche da questa antinomia d’immagine rimarcata da quel portentoso archivio di immagini e aneddoti che è Graziano Marraffa e dall’impegno istituzionale di Daniele Luxardo, nipote di Elio Luxardo, il quale è noto alla storia artistica come “il fotografo principe di Cinecittà”

Dunque, l’antidivo Mastroianni. Cioè quel “dolce mammone, timido e sprovveduto” che si raccontava a Umberto Eco e che così è apparso in molte interpretazioni. Per trasferirne l’imponente filmografia l’imprenditore e scrittore Giampiero Mele ha pubblicato un libro dal titolo inequivocabile, Marcello Mastroianni. Filmografia, fatti e personaggi della Gambini Editore. E Isabella Gambini ha spiegato che l’iniziativa editoriale è nata per due fondamentali motivi: “Dare una organizzazione sistemica alla ingente produzione artistica e farne un documento per il futuro”. In copertina un ritratto tipico in bianco nero, quel bianco e nero che è la firma dell’epoca, tratto dall’archivio Luxardo. E anche perché il bianco e nero non è un tema del passato, ma è arte e mestiere che spicca, connota e va recuperato. Lo ha affermato un singolare artista, Luca Musk, che lavora con matite e acquerelli per creare singolari story bord, graphic novel di quel genere definito artcommission per connettere ieri con il domani: “Ho creato pannelli su tratti, espressioni e scene del cinema di Mastroianni per trasportare le immagini nel grafico contemporaneo sempre più grafico e sempre più digitale”.

Non era rosa e dolce la vita ai tempi dell’immortale bagno nella Fontana di Trevi, incastonato nell’opera del 1960 per la regia di Federico Fellini? “La pellicola de La dolce vita – narra il disegnatore Musk – ha un particolare unico: è in bianco e nero argentato. Costò moltissimo. Come il set. Forse non tutti sanno che il film non fu girato nella celebre Via Veneto, ma nello Studio 5 di Cinecittà, ricostruito in tutto. I props, che in gergo sono il materiale cinematografico, furono tantissimi. Per intenderci: se il set prevede una bottiglia di whisky nel cinema non si usa una vera bottiglia di whisky, ma un props appunto, cioè una bottiglia ricostruita così come ricostruiti sono quasi sempre arredi, maschere, armi, mobili. Il set de La dolce vita, scenografia e costumi di Piero Gherardi, fu un susseguirsi di pannelli con molto nero, grigio, scuro a sottolineare la malinconia, l’immaginifico felliniano, l’incomunicabilità. Di fatti nella scena della fontana Marcello cerca di raggiungere la donna mito, magistralmente resa di Anita Ekberg, ma la sfiora appena e non riesce a toccarla”.

La filmografia di Marcello Mastroianni richiederebbe un corso di laurea, perché è una carriera che riguarda tutti i registi, tutte le più belle attrici e i miti del grande periodo cinematografico. Ma chi ha la fortuna di conoscere studiosi e archivisti come Graziano Marraffa e gli ideatori di “Mastroianni 100” potrà ascoltare in diretta le curiosità, i segreti e le eccellenze. E nel ripercorre le tappe di una carriera unica non si può sfuggire al capitolo della fama di latin lover di Mastroianni, ossia l’amante e l’amato. “Non fu una conquista semplice – racconta Marraffa – perché Marcello all’epoca dovette vedersela con l’altro acclamato latin lover, Rossano Brazzi, il quale quando vide l’antagonista ne La dolce vita capì che il suo mito era pericolosamente insidiato. Ma Marcello si scherniva: Io, un latin lover? Rossano, ma stai tranquillo!”. Era il “timido frusinate” che parlava così, quel Marcello nato a Isola di Liri, piccola cittadina della Ciociaria ai tempi al centro dello star system. Non fu, di fatti, in quella porzione di provincia laziale che si spinsero noti registi e autori dell’epoca? Non fu in quelle zone che Vittorio De Sica volle ambientare La Ciociara di Alberto Moravia con la mitica Sophia Loren?

Ciò accadde perché molti, durante la guerra, sfollarono da Roma ai Monti Lepini e nelle campagne di Frosinone? Non solo per questo. L’epicentro ciociaro salì alle cronache perché quelle terre, quelle pietre, quei luoghi davano natali speciali e bellezze straordinarie, da Gina Lollobrigida a una musa onore italico. Come racconta l’effervescente Alessandro Carnevali, presidente dell’Associazione romana dei ciociari e segretario dell’Unione associazioni regionali di Roma e del Lazio, il quale, oltre ad annunciare l’appuntamento di settembre (quando nel clou del “centenario” il Castello Boncompagni Viscogliosi ospiterà mostre fotografiche, di moda e gastronomia), rivela che a Isola di Liri è nata anche una delle “ciociare più belle e famose”. Una bellezza in onore della quale l’associazione ha fatto porre una targa a memoria a Parigi, nel quartiere di Montparnasse. “Si chiama Rosalina Pesce. Era una bellissima modella ciociara – spiega l’avvocato Carnevali – nata in località Frattone a Gallinaro, che aveva avuto la fortuna di posare per lo scultore Oscar Roty, incaricato dal governo francese di realizzare l’immagine della seminatrice, la fanciulla dalle forme perfette delle monete e francobolli francesi. I pittori del Settecento e Ottocento hanno usato moltissimo le modelle ciociare per l’armonia delle forme”.

In sala è presenta un’altra bellissima senza tempo: Liana Orfei. Con Marcello Mastroianni girò una scena del Casanova ‘70 di Mario Monicelli, con Virna Lisi protagonista. Liana ricorda quando si trovò tra le braccia del mito e, nel ruolo di domatrice, avrebbe dovuto scambiare con lui un bacio memorabile: “E lo fu super memorabile”, ricorda l’attrice circense, cugina di Moira Orfei. “Perché a causa dell’inquietudine dei leoni dovemmo rifare il bacio tante volte, fino a che la scena passò alle cronache come il bacio più lungo del cinema”. Anche Adriana Russo, in sala e con Mastroianni partner in una scena diretta da Nanni Loy in A che punto è la notte, non può dimenticare l’emozione di doversi sfilare una guêpière davanti all’inossidabile partner di Flora Clarabella, all’innamorato di Catherine Deneuve, che gli ha dato la figlia Chiara, e al protagonista del colpo di fulmine con la tumultuosa Faye Dunawey.

Tante super bellissime. O meglio, in 170 film, per un valore di innumerevoli premi e tre nomination al Premio Oscar, Marcello Mastroianni ha lavorato con tutte le più belle e note artiste della metà del Novecento. Un nome per tutte, Sophia Loren, ricordando le 12 interpretazioni in coppia, che vanno da I girasoli di Vittorio De Sica a Una giornata particolare di Ettore Scola. Dopo il film che li lanciò e li fece conoscere nel 1954, Peccato che sia una canaglia di Alessandro Blasetti. Mastroianni era sicuramente un amateur ma anche un talent scout femminile, del quale in occasione del centenario splende perfino il femmineo ottocentesco ciociaro di Rosalina Pesce, la modella delle monete francesi. Ne sorridono le nipoti, figlie del fratello montatore Ruggero Mastroianni: “Zio di fatto era un vero antidivo. Di lui ricordiamo il senso della famiglia, quando ci riuniva tutti, la sua semplicità e discrezione”. Condividono il ritratto inedito gli amici presenti come Vassili Karis, i cinefili riconoscibili dagli sciarponi come Romano Milani e Franco Mariotti, l’attrice-intervistatrice Olga Bisera, il soprano Sara Pastore, Gloria Vancini e Luciana Vasile, le organizzatrici cinematografiche come Isabella Poli, i fotografi Andrea Dezzi e Maurizio Presutti, il magistrato Umberto Apice, le fans più o meno giovani. Tra i tanti, anche io.

Mi permetto un ricordo. La Rusconi Editore, per Gioia, mi mandò a intervistare Federico Fellini sul set di Ginger e Fred, a Cinecittà. Anno 1985, avanzava la tivù commerciale e Fellini voleva raccontare, nello struggente reincontro tra Pippo e Amalia, due ballerini di tip-tap ispirati a Fred Astaire e Ginger Rogers, lo struggente amarcord di amori passati e tempi cambiati. Si girava proprio la scena in cui Marcello e Giulietta Masina scivolano sul set del vecchio cabaret, lui in frac e lei nello scintillante abito di piume. Il macchinista mi vide e mi disse: “Vieni, vieni a vedere... sei la figlia di Papi, vero?”. Uno non si rende conto mentre la storia scorre che sta assistendo alla storia. Mio padre, come ho raccontato, era uno dei fotografi di scena più attivi sui set dell’epoca e conosceva tante maestranze, che non nascondo mi hanno aiutata.

Quella volta in modo particolare. Perché Fellini aveva fatto uscire tutti. Aveva voluto la musica, Mastroianni e la moglie-musa per una scena autobiografica. Poi, dopo nel corso dell’intervista, mi mostrò i bozzetti del film e disse: “Ginger e Fred sono la metafora della vecchiaia, con loro è la vita che se ne va, perché il tempo cambia e chi deve capire intuisce che sta uscendo di scena. Allora, lo sa che cosa accade? Torna il passato. E col passato torna l’amore. E dell’amore torna l’amore incompiuto, quello forse triste, forse fallito, che non hai vissuto e che è l’ultima cosa da portar via”. Avevo circa trent’anni ai tempi e Fellini, scrutandomi, dovette pensare che forse ero giovane per cogliere il senso della profezia. Aggiunse riponendo i bozzetti: “Non si preoccupi, è cinema, è tutto cinema”.

Aggiornato il 22 febbraio 2024 alle ore 12:07