Che cosa c’è di irrappresentabile all’interno di uno spazio scenico teatrale? “La verità”, suggerisce il regista Giovanni Veronesi conversando con la stampa alla fine della presentazione del suo film, Romeo è Giulietta, nelle sale italiane da oggi, che vede in scena un cast di attori di prim’ordine. Del resto, qual è la verità di un attore quando mette la sua anima a disposizione di cento personaggi diversi? E non è forse vero nel rapporto di coppia che non esiste la fusione dell’uno nell’altro, in base al principio “due ma non uno”? Perché, nel fondo di ogni relazione (anche con noi stessi) sussiste, restando insolubile, l’eterno dilemma dell’accoppiamento e contestuale disaccoppiamento di personalità.
L’Uno e il suo Doppio e, non di rado, il suo Trino. È come se si assistesse al camuffamento di un’infinita dualità quotidiana, che fa assomigliare tutti noi a una nitroglicerina affettiva, dovendo stare attenti a ogni minimo scuotimento, o impulso animale da smentire, assecondandolo e godendone però intimamente. Insomma, l’uomo e la donna come un impasto esplosivo di entità e sembianze diverse, talvolta incomprensibili addirittura quando le osserviamo all’interno di noi stessi. Così, Romeo è Giulietta ci porta, in primo luogo, all’interno di uno spazio sospeso dell’identità sessuale, per tirare un tratto continuo di interpolazione all’interno di una nuvola caotica di punti che, poi, rappresenta la vita di ciascuno di noi. Con le mille situazioni e le nostre conseguenti reazioni tutte a sorpresa, che ci fanno dire di conoscerci e di sconoscerci allo stesso tempo.
Così Sergio Castellitto interpreta un velenoso regista teatrale a fine carriera, Federico Landi Porrini, che nei suoi atteggiamenti dissacratori e dissacranti ricorda le intemperanze e le battute al vetriolo di Carmelo Bene del teatro-off. Lui, Landi Porrini, il despota, con il “vizietto”, che si dichiara apertamente omosessuale, insensibile al fascino femminile (almeno, da una certa età in poi, a quanto pare), e che ha scelto come assistente personale il suo pazientissimo e devoto badante-amante. Un film che, innanzitutto, parla a se stesso, interagendo con un’invecchiata musa artistica (Margherita Buy nella parte di una nota attrice prima teatrale, e poi cinematografica, nonna della protagonista Vittoria), e giocando poi disinvoltamente a trasfigurarsi in ruoli maschili con interpreti femminili sotto mentite spoglie, e viceversa.
Protagonista sgradito, sempre dietro le quinte, è l’uomo con il mantello e la maschera, quello cioè che, dietro un compenso di monete d’oro, fa comporre al Mozart di Amadeus il suo sempiterno Requiem, per tentare di rubarglielo in punto di morte. E, anche qui, la protagonista aspirante attrice, Vittoria (Pilar Fogliati), è perseguitata per un peccato di plagio autorale commesso in gioventù, mentre l’impresario teatrale Alessandro Haber è sempre più ossessionato dal limite del denaro che non ha, per poter finanziare lo smisurato ego megalomane dell’amico, sua delizia e castigo, che corrisponde all’augusto nome di Landi Porrini.
E poiché, giustamente, ai tempi Netflix comandano le piattaforme di fiction che tutto divorano nei media e dintorni, allora tanto vale che nel cast di guitti assoluti, per via del benedetto denaro da rinvenire, si affidi il ruolo-chiave di Giulietta a una perfetta analfabeta teatrale tutta silicone e sorrisi smielati. La quale, però, essendo un’influencer di grido, si tira dietro milioni di followers e, quindi, di sponsor disposti a spendere per avere in copertina o sui brand la sua immagine. La cui cura lei stessa ha affidato a un insopportabile procuratore dal pesante accento romagnolo, da sbattere fuori dalle prove teatrali prendendolo per la barba, o per la volgare pinguedine, volendo.
Perché, poi, Veronesi confessa che a quelli come lui fa addirittura piacere bagnarsi le scarpe nella mota di chi sta dalla parte del torto, del cattivo ma non troppo, quindi, sempre redimibile per definizione. E che c’è di più ambiguo e spregevole di chi inganna travestendosi da uomo per ottenere la parte che ha sempre sognato, per recitare da protagonista nel più grande dramma amoroso shakespeariano? O quella della truccatrice geniale (una incantevole Geppi Gucciari) che altera soma, chiome e nasi compresi, per costruire finti personaggi inesistenti nella realtà, solo per il gusto di vendicarsi di chi l’ha messa alla porta? Ma insomma: dove abita Mister Hyde? Al di là del portone di casa nostra, o sotto il nostro letto, per vestirci la notte della sua innaturale personalità e poi abbandonarla sul far del giorno? Gli amanti, a quando pare, che siano etero od omo, sono ora l’uno ora l’altro, come nel gran finale a sorpresa del film, che sancisce il trionfo immeritato dell’isterico Maestro Landi Porrini, malgrado le sue idee siano asciutte come un deserto.
Aggiornato il 14 febbraio 2024 alle ore 13:57