Un grande classico può essere interpretato da diverse angolazioni, sempre: questo è il caso della rilettura dell’Odissea di Omero proposta da Alessandro D’Avenia nel suo libro intitolato Resisti, cuore. L’Odissea e l’arte di essere mortali. L’opera rivela aspetti inediti sulla condizione umana. Questo è il caso di questo libro, edito dalla casa editrice Mondadori, di cui è autore Alessandro D’Avenia, scrittore, ricercatore universitario, studioso della letteratura greca.
In apertura di questo testo, notevole e colmo nella sua interpretazione esegetica dell’Odissea di sottili e profonde annotazioni critiche, D’Avenia alterna i capitoli dove analizza gli episodi essenziali di questo classico immortale con altri, in cui confessa e racconta le sue vicende personali. Il sorprendente gioco di specchi tra i suoi smarrimenti esistenziali e la sua capacità di risorgere, dopo avere superato gli ostacoli incontrati durante il corso della sua esistenza, e la grande poesia epica creata da Omero, emoziona e sollecita nel lettore riflessioni sui grandi temi della esistenza umana: la solitudine, il dolore, il destino, l’amore, la relazione nella società con le altre persone, la drammatica dicotomia fra la guerra e la pace. Omero designa gli uomini come mortali, poiché l’uomo non è solo destinato a morire, ma ha a che fare con la morte a causa, per esempio, della guerra.
L’Odissea è uno dei due grandi poemi epici, insieme con l’Iliade, attribuiti dalla tradizione a Omero. L’Odissea racconta la vicenda dell’eroe Ulisse, il suo lungo e travagliato ritorno a Itaca, dopo avere preso parte alla guerra di Troia. Vi è l’isolamento a Itaca di Penelope e Telemaco, che non conoscono la sorte di Ulisse. Soprattutto nella grande narrazione epica di Omero colpisce sia l’isolamento di Ulisse, che erra e attraversa le isole, sia la sua nostalgia del ritorno, che spiega la sua capacità di resistere e nascere di nuovo, malgrado le sofferenze provocate dalla lontananza dalla sua patria e dalla sua casa.
La lettura dell’Odissea consente di capire che non vi può essere biografia: racconto della vita senza biologia, racconto sul mistero e sull’origine della vita. Grazie al racconto e alla narrazione, la verità viene alla luce, ciò che i greci chiamavano Aletheia. L’Odissea è il risultato di racconti orali maturati lungo i secoli, a partire dal primo secolo avanti Cristo e composti, nella forma che ha la versione definitiva del poema, nell’VIII secolo avanti Cristo. Questo poema è la sintesi di diversi dialetti riconducibili al greco, la lingua che ha forgiato e modellato la cultura e la identità occidentale.
D’Avenia, con acutezza, nota che l’uomo è un essere di parole, grazie alle quali si pone di fronte al mondo con la vocazione di chi è incline a indagare e conoscere la realtà: il famoso rapporto dialettico tra soggetto e oggetto di studio, la realtà colta dai sensi. Se fosse sufficiente vivere, non ci sarebbe la necessità del pensiero. Se si pensa è perché la vita ha bisogno delle parole, per rendere possibile l’esplorazione del mistero umano. Infatti, la grande letteratura smaschera la vuota e falsa rappresentazione della realtà e mostra la vita così come è, senza illusioni consolatorie. La meraviglia, come aveva compreso il grande filosofo greco Aristotele, rende possibile una serie di esperienze essenziali: l’ammirazione, lo stupore, la sorpresa, ma fa anche sorgere i dubbi, le paure e le perplessità.
Se la filosofia è l’amore della sapienza, la Filomitia, termine coniato da Tommaso D’Aquino, è l’amore del racconto. Chi non prova la meraviglia di fronte al mistero della vita, non ha nulla da raccontare oppure da scoprire. Sono i racconti dei poeti, come nel caso dell’Odissea di Omero, a suscitare la meraviglia nel nostro animo. Giambattista Vico definì metafisica fantastica la figura di Ulisse creata dai miti omerici, distinguendola dalla metafisica ragionata, basata sugli universali logici. Ulisse è il simbolo dell’Homo sapiens, poiché il suo viaggio diviene una metafora della condizione umana, grazie alla conoscenza di molti uomini e luoghi misteriosi: le famose isole dove si trattiene l’eroe nel lungo tragitto di ritorno verso Itaca. Ulisse sull’isola di Ogigia diviene immortale per volontà della dea Calipso ma, poiché si sente privato della sua dimensione eroica e mortale, decide di uscire dall’isolamento dell’isola, per approdare alla vita autentica, esposta al rischio e alle insidie della vita imprevedibile.
La nostalgia del futuro, da cui Ulisse è animato, non è provocata da una perdita ma dal dolore lancinante del non ancora, che crea angoscia e inquietudine nell’animo dell’eroe descritto da Omero in modo magistrale. Per Omero l’eroe è l’uomo libero, sia esso il guerriero sia il poeta, capace di mettere la propria vita al servizio della comunità. I racconti omerici, secondo gli studiosi di letteratura greca, erano declamati dagli aedi, i cantori che intrattenevano gli ospiti dei banchetti con le loro emozionanti narrazioni. Infatti, come i greci avevano intuito, la bellezza non ha senso ma possiede la capacità di conferire un significato alla vita di ciascun uomo. Ulisse è definito nel libro come Polytropos, l’uomo dalle molte vite, diverse direzioni e innumerevoli svolte, astuto e capace di sopportare con infinita pazienza le sue dolorose vicissitudini.
L’azione dell’Odissea prende le mosse dagli Dei, visto che Atena, la dea della intelligenza, si rivolge a Zeus perché consenta a Ulisse di fare ritorno nella sua patria, Itaca, il luogo a cui appartiene. Questo racconto induce Alessandro D’Avenia a chiedersi se siamo liberi, oppure il nostro destino è determinato da una dimensione metafisica invisibile e inafferrabile. Dopo che Atena ha raccontato a Zeus la triste vicenda di Ulisse, nel poema assistiamo alla discesa dell’alto verso il basso, il divino nell’umano, l’immortale nel mortale, il destino nella destinazione. Infatti Atena, che assume sempre una falsa figura per dissimulare la sua identità divina, appare a Telemaco e lo induce a mettersi in viaggio per avere notizie di suo padre. Il viaggio di Telemaco, che si recherà a Sparta, assume un valore conoscitivo e in questo somiglia in modo sorprendente a quello di Ulisse.
Intanto nel palazzo i Proci, gli usurpatori e i pretendenti, gozzovigliano mentre Penelope si rifiuta di sposare un altro uomo. Così realizza un lenzuolo funebre per il padre di Ulisse, Laerte. Solo quando lo avrà terminato, potrà contrarre le nuove nozze. Per evitare che questo accada, Penelope, pur di rimanere fedele a Ulisse, di notte disfa la trama del lenzuolo che aveva tessuto durante il giorno. La tessitura è associata dai greci al trascorrere dei giorni, fatto che evoca il mito delle Parche, filatrici del destino umano. Nausicaa, che ha ricevuto durante un sogno la visione di Atena, accoglie sulla spiaggia dell’isola dei feaci, lo straniero, Ulisse, che viene ospitato nel palazzo dai suoi genitori. Ascoltando il canto di un aedo, prima di rivelare la sua identità, Ulisse si abbandona al pianto durante il banchetto che si tiene nella corte dei feaci. Piange per le sofferenze di una guerra, quella di Troia, da lui non voluta e mai accettata. E poi perché scopre di essere entrato nella immortalità del racconto epico, mentre lui era convinto di essere un naufrago dimenticato da tutti.
Nella corte dei Feaci, Ulisse racconta le sue peregrinazioni e il suo viaggio, descrivendo i luoghi e le isole dove ha vissuto per un lungo periodo, dieci anni. Il racconto del viaggio consente a Ulisse di capire quale sia la sua identità, visto che senza racconto il vissuto non diventa esperienza. La sosta, lungo il suo viaggio, nell’isola dei Lotofagi, dove il loto intorpidisce i suoi compagni, dissuadendoli dal proseguire il viaggio verso Itaca. Quello nell’isola dei Ciclopi, dove l’eroe conosce un popolo di essere viventi violenti che non rispettano l’ordine imposto dagli dei al caos del mondo, e che non hanno nessuna cognizione della tecnica e del diritto. Il Ciclope rappresenta il contrario della ospitalità, con cui è nata la civiltà umana. L’’incontro con Circe, nell’isola di Eea, che trasforma i compagni di viaggio di Ulisse in porci. La metamorfosi nel mondo antico, come dimostra il capolavoro di Ovidio, non è un semplice gioco barocco, ma rappresenta e mette in scena i destini umani, ciò che l’uomo diventa quando dimentica la propria meta e cade nell’oblio di se stesso.
Dopo che Calipso ha ridato forma umana ai suoi compagni, Ulisse entra nell’Ade, il regno dei morti, dove riceve da Tiresia il vaticinio sul suo destino personale e apprende, in preda a un dolore inconsolabile, della morte della madre Anticlea. Sulla figura delle sirene, che Ulisse ascolta legato all’albero della nave, D’Avenia scrive pagine memorabili, visto che il loro canto evoca l’ideale della bellezza e spiega l’origine della teoria estetica. Approdato ad Itaca, nella parte finale dell’Odissea si hanno le famose agnizioni, grazie alle quali Ulisse è riconosciuto da chi non lo ha dimenticato, prima che lui metta in atto la sua vendetta contro i proci ed i pretendenti. Un libro, questo di Alessandro D’Avenia, di incomparabile bellezza e profondità.
(*) Resisti, cuore. L’Odissea e l’arte di essere mortali di Alessandro D’Avenia, Mondadori, 420 pagine, 20 euro
Aggiornato il 09 febbraio 2024 alle ore 11:29