Harry Belafonte è il promotore del progetto Usa for Africa. L’acronimo Usa non indica United States of America ma United Support of Artists. Il cantante e attivista dei diritti civili statunitense ha intenzione di coinvolgere gli artisti afroamericani per combattere la fame in Africa e in particolare in Etiopia, allora nel pieno di una grave carestia. Belafonte, con il sostengo del manager Ken Kragen, vuole seguire l’esempio del Band Aid partito l’anno precedente in Gran Bretagna grazie a Bob Geldof e Midge Ure, con il singolo Do They Know It’s Christmas? “Perché – sostiene Belafonte – i bianchi salvano i neri ma non ci sono neri che salvano i neri”. Nasce così l’idea di We Are the World, una canzone firmata da Lionel Richie e Michael Jackson, che fa raccogliere oltre 80 milioni di dollari dell’epoca. La genesi del capolavoro viene narrata in We are the World: La notte che ha cambiato il pop, un documentario di Bao Nguyen, dal 29 gennaio visibile su Netflix. La prima mondiale ha avuto luogo nello stesso mese al Sundance Film Festival. Il film racconta la storia di una notte irripetibile: il 25 gennaio 1985. “Lasciate l’ego fuori dalla porta”. È il motto di Quincy Jones, scritto fuori dallo studio di registrazione di A&M di Los Angeles. Il produttore riesce a comporre uno straordinario gruppo di 46 stelle della musica e dello spettacolo (presenti anche gli attori Bette Midler e Dan Aykroyd) che incide la canzone in un’unica sessione, dalle dieci di sera alle otto del mattino seguente. Una notte unica per un Dream Team guidato da Lionel Richie e Michael Jackson che registra la partecipazione di Stevie Wonder, Tina Turner, Bob Dylan, Bruce Springsteen, Ray Charles, Dionne Warwick, Diana Ross, Billy Joel, Cyndi Lauper, Paul Simon, Steve Perry e tanti altri.
Il documentario usa anche il materiale audio raccolto dal giornalista David Breskin, della rivista Life Magazine, che intervista molti degli intervenuti nelle settimane precedenti la registrazione. Inizialmente a scrivere la canzone viene chiamato anche Stevie Wonder. Ma il re del soul è impegnato. Non risponde neppure al telefono. Così, Richie e Jackson sono costretti a comporre il brano in coppia e in poco tempo. In soli tre giorni scrivono e registrano una demo della prima versione di We Are the World. La musicassetta viene inviata a tutti i partecipanti. Ma non viene rivelato il luogo d’incontro. Qualche ora prima, quella stessa notte, Richie conduce gli American Music Awards. In ogni caso, gli artisti non si trovano tutti a Los Angeles. Bruce Springsteen, ad esempio, parte dopo un concerto, da una Buffalo innevata. La notte che ha cambiato il pop mostra il dietro le quinte di un successo annunciato attraverso filmati inediti e testimonianze appassionate. Intervengono lo stesso Boss, Richie, Cyndi Lauper e Sheila E. Il bel documentario racconta anche la rivalità tra Michael Jackson e Prince. Quest’ultimo, atteso fino alla fine della serata, diserta platealmente la registrazione del brano. Tra guai tecnici e momenti di umorismo condiviso, la nottata risulta faticosa ma unica. Naturalmente, l’obiettivo, soprattutto per Lionel Richie, è autocelebrativo. Tuttavia, il documentario sorprende, affascina e commuove. Vedere fianco a fianco il re del pop Michael Jackson e il Premio Nobel per la Letteratura Bob Dylan desta un’emozione fortissima.
La sequenza migliore del documentario riguarda proprio Bob Dylan. Dopo aver registrato la parte corale, Quincy Jones si concentra sulle parti singole. Tocca al cantautore. Alle 5 e mezzo del mattino, lo studio di registrazione è ancora affollato di stelle. Dylan farfuglia davanti al microfono. “Devo provarla un po’ più di volte”, ammette. Deve cantare tre strofe diventate iconiche: “There’s a choice we’re making, We’re saving our own lives, It’s true we’ll make a better day, just you and me”. Quincy Jones consente a Dylan di cantare in una diversa tonalità. Quasi un controcanto. A quel punto, accade un piccolo e divertente miracolo artistico. Stevie Wonder intona al piano la parte alla maniera di Dylan. Il cantautore la impara imitando il proprio imitatore. Alle 6 del mattino Dylan riesce a ultimare la sessione e riceve l’abbraccio di Lionel Richie e Quincy Jones e l’approvazione di Springsteen. “Ben fatto, Dylan”, dice il Boss.
Aggiornato il 07 febbraio 2024 alle ore 18:26