Su Georges Simenon

Sono, come molti, una lettrice accanita di tutto quello che ha scritto Georges Simenon – moltissimo – e, da ultimo, dei bellissimi film di Mario Landi sul commissario Maigret interpretato da Gino Cervi che conoscevo solo nella parte di Peppone in Peppone e Don Camillo. Cervi, attore magistrale con tanti altri attori che grazie a quei film hanno fatto la storia del nostro ben cinema e teatro italiano (Oreste Lionello, Gian Maria Volontè, e tanti altri). Ho letto anche il libro più autobiografico di Simenon dedicato per lo più alla figlia suicida. Simenon come persona non mi incuriosisce. Chiaramente era alla ricerca, tramite i suoi libri, di un sé stesso che non era. Attraverso i suoi libri parlava di sé stesso, di quello che sapeva essere pessimo in lui stesso e di quello che avrebbe voluto essere, e vivere. Al fondo dei suoi scritti c’è sempre lo stesso “motivo”, Simenon fa accadere ai suoi personaggi, presi per la maggior parte dalla “pancia grassa” e laida della provincia francese, qualcosa – sia esso bello o brutto, non fa differenza – che li porta, spontaneamente od obtorto collo, a vivere in maniera diversa rispetto a come viveva o si conduceva prima.

Quel qualcosa cambia tutto e pone l’individuo in questione – in genere si tratta di uno solo mai di un gruppo perché il gruppo è e rappresenta per Simenon la società borghese che è sempre la stessa, pregi e difetti, pensa e fa sempre le stesse cose di sempre, al ribasso – su un altro “binario” di vita. Gli fa toccare la sua vera essenza. E, con questa, Simenon mette il lettore di fronte a tutte le altre possibilità di vita, di essere, di comportamento. È un po’ come Luigi Pirandello in Uno nessuno centomila “spalmato” in mille vite e possibilità. Secondo la fisica quantistica, che era già teorizzata in parte Simenon vivente, gli organismi viventi non sono una unicità ma semplice probabilità, vale a dire che noi siamo, nella vita che viviamo oggi, solo un aspetto o una “modalità” di quello che possiamo e potremmo essere. Ecco, Simenon, maestro di scrittura e di “ambiente”, maestro cioè nel ricreare le atmosfere e la socialità degli ambienti in cui immerge i suoi personaggi o piuttosto i suoi “casi”, rimane come legato a questo “palo” che ho detto, con una fune che lo stringe e lo fa sbandare intorno ma sempre su questo concetto – quantistico – rimane ancorato e come “allampanato”.

Quindi c’è il personaggio che, delinquente e sbandato nella società gretta di provincia cattiva, cerca la pace, la tranquillità, dell’animo. E immagino dunque Simenon bearsi in questo desiderio che sembra non abbia mai raggiunto nella sua vita personale. O quelle che definisce “le belve” soprannominate così dalla comunità chiusa e occhiuta in cui vive una coppia di coniugi che sembrano ricalcare a pennello quello che era lui con la sua moglie ambiziosa che lui riforniva di soldi per l’ambizione appunto facendone una colpa a sé stesso – magistrali i passaggi in cui descrive il rifiuto netto della madre, la sua, verso quel tipo di donna – la moglie – di uomo – lui –, di quella arida ambizione dei due.

È sempre lui, Simenon, che “parla” di sé, delle sue molteplicità. Nella vita vera, cioè quella in cui ha scritto libri che sono capolavori di investigazione e di arguzia, viveva a tratti perché, quando scriveva, si immetteva nell’ altra, quella delle probabilità, delle molteplicità. Le provava tutte. Non è un caso che il personaggio di Maigret, sia un uomo retto fedele a sua moglie, concentrato nel suo lavoro ed a farlo bene, da persona dotata di buon senso e anche affetto verso l’umanità con cui si ritrova a che fare. Lui che, nella vita vera, non faceva altro che andare a donne, in genere nei bordelli di Francia, perché è lì che trovava la deviazione che cercava, lo squallore e l’aberrazione, l’animalità che gli serviva per compiere lo scatto o lo scarto per arrivare, come in un trampolino, alla sordidezza e grettezza dell’uomo in cerca di altre modalità.

Simenon, tradotto magistralmente in Italia dalla squisita Laura Frausin Guarino, ci ha dato tantissimo, purtroppo della spietatezza di se stesso, la sua vita qui ne ha risentito. Non è stata per niente quel capolavoro che è stata al contrario la sua produzione. Mi sono sempre chiesta in realtà come mai, né lui né Pirandello, né Henry de Montherlant di cui ho tradotto alcuni libri magistrali passati al vaglio proprio dalla Frausin Guarino che li ha trovati perfetti (nella traduzione), come mai questi “indagatori” della vita umana non abbiano mai – e dico mai – affrontato da che parte provenga proprio questa vita, da quale energia. Si sono fermati tutti qui, da questa parte dell’osservazione del mondo, senza entrare tecnicamente, scientificamente nel mondo. Insomma, questa vita che può essere così o cosà, da cosa è data?

Aggiornato il 23 gennaio 2024 alle ore 08:14