“Rustin”, un biopic medio di grande valore storico

La storia dell’attivista afroamericano Bayard Rustin è un inno alla nonviolenza. È lui l’ideatore della Marcia su Washington per il lavoro e la libertà che ha ispirato a Martin Luther King Jr. il celebre “I have a dream”, discorso che invoca la fine del razzismo e la pace tra bianchi e neri, pronunciato davanti a 250mila persone riunite al Lincoln Memorial. Un anno dopo quella manifestazione viene varato il Civil Rights Act, una legge federale degli Stati Uniti d’America, che dichiara illegali le disparità di registrazione nelle elezioni e la segregazione razziale nelle scuole, sul posto di lavoro e nelle strutture pubbliche. Rustin, organizzatore strategico e logistico della manifestazione del 28 agosto 1963, è stato un protagonista dei movimenti per i diritti civili e per i diritti degli omosessuali statunitensi. George C. Wolfe, regista e drammaturgo, già autore di Ma Rainey’s Black Bottom (2020), firma una regia chiara, ma poco incisiva. Il suo obiettivo è dedicare un ritratto a un grande eroe americano dimenticato. Il risultato è un biopic classico che mostra una figura carismatica, a lungo rimasta immeritatamente nell’ombra. A dare il volto a Rustin viene chiamato Colman Domingo. L’attore si concentra anche sulle peculiarità fisiche del personaggio. Prova ne è la mancanza di alcuni denti, persi dall’attivista a causa di un’aggressione della polizia. L’interpretazione è da Oscar. Appassionata, magnetica, commovente. Non a caso, è già stato candidato al Golden Globe come Miglior attore. Domingo guida un cast d’interpreti affiatati e capaci di rimanere sempre sulla stessa temperatura artistica.

Tuttavia, Rustin, scritto da Julian Breece e Dustin Lance e prodotto dalla Higher Ground di Barack e Michelle Obama, è un film di straordinaria importanza storica, ma di medio valore cinematografico. Un’opera di indubbia solidità. Onesta, didascalica ma a tratti ridondante. Il lungometraggio approdato su Netflix è stato presentato, in anteprima mondiale, il 31 agosto 2023, in occasione del Telluride Film Festival e poi a Toronto. La storia che racconta è poco nota. In meno di due ore, anche facendo ricorso a qualche flashback, viene narrata la vita di un uomo che, nonostante le critiche e le accuse, non nasconde la propria omosessualità (per queste ragioni viene arrestato nel 1953) e non arretra mai rispetto al proprio impegno nella lotta contro la segregazione razziale e contro la discriminazione, grazie allo strumento della disobbedienza civile. Iscritto in gioventù al Partito comunista americano, Rustin è attivo fin dagli anni Quaranta nel movimento nonviolento. Durante la Seconda guerra mondiale, rifiuta le armi motivando la sua scelta con la sua fede quacchera e con l’appartenenza ai movimenti pacifisti. Viene condannato a tre anni di carcere per renitenza alla leva. Il 20 novembre 2013, il presidente degli Stati Uniti Obama attribuisce a Bayard Rustin il riconoscimento postumo della Presidential Medal of Freedom. Il film di George C. Wolfe si concentra sugli aspri conflitti interni alla comunità afroamericana. In particolare, sullo scontro tra Rustin e Roy Wilkins (cui dà il volto un corrucciato Chris Rock), il leader della National Association for the Advancement of Colored People e l’amicizia dialettica tra Rustin e Martin Luther King Jr. (interpretato da un intenso Aml Ameen). L’opera è molto coerente nello sviluppo dei riflessi della nonviolenza sulla società. La figura di Bayard Rustin mostra il senso etico di una politica che tiene conto dei valori fondamentali. Lo storico corteo di Washington non è stata una marcia trionfale ma una manifestazione complessa, articolata, quasi impossibile da realizzare. Un vero e proprio sogno a occhi aperti che ha picconato, in maniera irreversibile, il razzismo endemico nella società americana. La canzone originale Road to freedom di Lenny Kravitz, presente nella colonna sonora, rammenta l’importanza politica oltre che storica del film.

Aggiornato il 21 gennaio 2024 alle ore 19:03