Strage di via Fani: intervista a Gianluca Cicinelli

Un’ora e ventuno minuti non di opinioni ma di inchiesta o, meglio, di “video inchiesta”, sulla strage di via Fani del 16 marzo 1978, intitolata “Coperti a destra”.

L’autore, Gianluca Cicinelli, la definisce “scevra” da commenti, “nuda e cruda”. Lo incontriamo dopo che parte del suo materiale è stato mandato in onda nella trasmissione di Rai3 Report senza che lui fosse citato. Parliamo con lui, anche, della miriade di approfondimenti (molti inediti, ndr) contenuti nella video inchiesta.

Cicinelli buonasera, grazie di aver accettato il nostro invito rilasciare questa intervista. Qualche giorno fa la trasmissione Report è tornata a parlare del “caso Moro”. Ad un certo punto è stata utilizzata una parte della sua video inchiesta “Coperti a destra” ma lei, come autore, non è stato citato. Immagino sia rimasto deluso.

Report ha intervistato proprio l’esperto principale di Coperti a Destra, la video inchiesta che ho realizzato nel 2018. Ma lui mi aveva avvisato, così come mi avevano avvisato gli altri intervistati nella mia video inchiesta, ugualmente intervistati da Report ma non mandati in onda. Sul pc dell’intervistato scorre proprio “Coperti a Destra” durante il servizio e persino l’estetica del filmato di Report, il perito che spara al poligono è identica a “Coperti a Destra”. Sarebbe bastato citare l’opera e non presentare il servizio come originale per ripristinare la correttezza. Lo stesso trattamento è stato riservato ai colleghi Paolo Cucchiarelli, che lo scoop su Claudio Signorile l’aveva fatto anni fa; a Simona Zecchi che da anni parla della pista della ‘ndrangheta; a Giovanni Fasanella che segue da oltre un decennio la pista dei servizi segreti inglesi. Report ha fatto un gran “mischione” al termine del quale l’unica certezza è che Moro è morto. Povertà e disonestà intellettuale, questo alla fine è stato quel servizio e sono disposto a rispondere di questa mia opinione in qualsiasi sede.

Parliamo di “Coperti a destra”, (che potete visionare digitando sul seguente link): ci racconta come ha costruito questa inchiesta?

Inizialmente, leggendo migliaia di pagine tra perizie e testimonianze da cui emergeva la volontà strenua di brigatisti e Stato di negare che in via Fani si fosse sparato da destra, un’ostinazione che ha attirato la mia attenzione. Ho capito quindi che l’unico modo per avere certezze era partire dai reperti materiali rimasti in via Fani, i bossoli. Sono partito da uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori indipendenti, poi ho contattato il perito balistico Paride Minervini. Con lui abbiamo misurato in un poligono gli spazi di espulsione dei bossoli dalle diverse armi che si ritengono usate in via Fani confrontandoli con le conclusioni delle perizie ufficiali. Alla fine, i conti non tornavano: in via Fani si è sparato da destra e questa conclusione comporta delle conseguenze che rendono inattendibili sia il memoriale Morucci su cui si basano i brigatisti che le perizie di Stato.

Ci riassume gli elementi salienti dell’inchiesta e chi vi ha preso parte? A cominciare dal tamponamento in cui fu coinvolta la macchina del presidente Moro il giorno 15 marzo 1978, un giorno prima della strage.

Oltre a riprodurre la sparatoria al poligono con Paride Minervini, grazie al gruppo di ricercatori indipendenti Sedicidimarzo e al perito Domenico D’Avanzo ho potuto ricostruire la storia dei bossoli ritrovati in via Fani. Tra le loro carte c’era anche il “brogliaccio” dello stato di servizio dell’Alfetta, la scorta a Moro della polizia, che seguiva la Fiat con a bordo Moro. Il giorno prima della strage di via Fani l’Alfetta tamponò la Fiat, costretta a un brusco stop dalla frenata di una macchina davanti, in una situazione identica a quella che si verificò poi il giorno dopo. Il caposcorta di Moro, il maresciallo Oreste Leonardi, si era già lamentato della distanza troppo corta tra i due veicoli, militarmente un errore perché in caso di attacco, come poi puntualmente avvenuto, anche l’auto dietro sarebbe rimasta vittima dell’eventuale fuoco nemico anziché aiutare quella davanti a uscirne. Il 15 marzo avviene esattamente quanto temuto da Leonardi: chi fosse stato a guardare il 15 marzo avrebbe saputo esattamente quale sarebbe stata la reazione della scorta il 16. Infine, con lo storico Gianluca Falanga ho analizzato le modalità della strage operata dai terroristi della Raf in Germania, che nel settembre ‘77 aveva rapito il presidente della Confindustria Hanns-Martin Schleyer e sterminato la scorta, utilizzando l’identica tecnica che poi fu usata in via Fani.

Lei si è concentrato sulla violenta sparatoria che avvenne in via Fani: quali elementi (alcuni clamorosi, ndr) ha scoperto ed analizzato?

Il principale è che durante la strage di via Fani c’era di sicuro almeno una persona che ha sparato dal marciapiede destro, quasi certamente due; quindi, la ricostruzione di Valerio Morucci e le perizie della Polizia scientifica sono carta straccia. Così come abbiamo dimostrato, “armi alla mano” potremmo dire grazie alla perizia di Minervini, che le armi e la posizione attribuite al brigatista Prospero Gallinari da sinistra non possono essere state quelle indicate da Morucci per la differenza di distanza tra i bossoli, e parliamo di metri, non di centimetri. Se l’omertà dei brigatisti è comprensibile perché chi venisse posto sulla scena della strage andrebbe incontro all’ergastolo, dobbiamo invece chiederci perché lo Stato ha occultato questa evidente verità. E l’ha occultata addirittura manipolando le foto dello sportello accanto al quale viaggiava il vicebrigadiere Francesco Zizzi, sostituendo nella prima perizia Antonio Ugolini la foto dello sportello posteriore dell’alfetta, crivellato di proiettili, con quello anteriore intonso. Per non ammettere questo che, per evitare querele, faccio finta di ritenere soltanto un “errore”, nella presentazione della perizia del 2015, identica alle precedenti, la funzionaria di Polizia che illustra le conclusioni alla Commissione Moro 2 per quattro ore confonde la posizione di Zizzi sull’Alfetta con quella dell’autista Rivera e sarà costretta a scusarsi formalmente il giorno dopo. Zizzi è la chiave per rileggere la strage di via Fani, perché viene colpito alle spalle, tre colpi dal basso verso l’alto che entrano all’altezza dei lombi; quindi, chi ha sparato era in posizione più bassa di Zizzi. Non solo: se lo sportello dal suo lato non presenta colpi e nemmeno il suo sedile, Zizzi è uscito dalla macchina come Raffaele Iozzino ma questa non figura in nessuna conclusione ufficiale perché evidentemente che si sia sparato da destra è un tabù che mette in crisi la versione di comodo di brigatisti e Stato. Perché? Io un paio di idee ce le avrei, ma le inchieste si fanno sui fatti accertati e me le tengo per me. Ma chi legge ci arriva sa solo.

Oggi in molti hanno ancora paura della verità sugli eventi di via Fani. Perché?

Dovremmo cominciare dagli accordi di Yalta a definire il quadro internazionale, perché senza quello non si capisce il resto. Io ritengo genuina l’azione delle Br fino al 18 aprile 1978, il giorno sia del falso comunicato numero 7, che pone il cadavere di Moro dentro al lago della Duchessa, che quello in cui si scopre il covo di via Gradoli. È il segnale per le Br che c’è un’entità che li vuole portare in una direzione precisa. Dobbiamo chiederci cui prodest, chi beneficia della morte di Moro? Le Br di sicuro meno di tutti. Ma non lo possono ammettere, verrebbe meno la loro auto santificazione come “esercito di operai, precari e proletari” con cui da decenni avallano la verità processuale dello Stato italiano. Questo è il motivo della loro paura della verità. Del resto, Mario Moretti si è fatto oltre 40 anni di galera, un po’ troppo per uno dei servizi. Per controllare un gruppo terroristico non è necessario guidarlo direttamente ma costringerlo in determinate direzioni. Lo Stato, la sua amministrazione, gli stati dentro lo Stato, non è così sciocco come vorrebbe far credere. Se si analizzano i documenti troviamo presenti e abilmente occultati persino gli accertamenti sulla presunta prigione di via dei Massimi a pochi metri da via Fani, già tre giorni dopo il rapimento di Moro. Quindi, torno a chiedere, a chi giovava l’esito mortale del rapimento Moro? Mentre le Br giocavano la loro partita si è verificato un golpe strisciante che ha soddisfatto esigenze non soltanto italiane. Dopo Moro cambia l’assetto del potere e viene premiato proprio chi non ha salvato Moro. E questo è ciò che non potrà mai ammettere lo Stato.

Il suo lavoro è stato censurato da YouTube che lo ha vietato ai minori di 18 anni. La verità storica è equiparabile alla pornografia?

Ho protestato, naturalmente, e mi è stato detto che i moderatori di quel social, per tutelarsi, agiscono quasi sempre su segnalazioni esterne. Il punto è che “Coperti a Destra”, da me autoprodotto, e che prima di essere disponibile gratuitamente è stato venduto in 1127 copie come Dvd, ha totalizzato 35 mila visualizzazioni nei primi quattro giorni dalla pubblicazione un anno fa. Dopo la censura, soltanto altre tremila fino a oggi, perché bisogna loggarsi per vederlo e questo allontana molti utenti. Ritengo che sia stata opera di un fanatico, qualche fedelissimo della versione ufficiale di Morucci. Perché in cinque anni mai nessuno è riuscito a porre una obiezione o critica al mio lavoro. Questo lavoro è stato acquisito dalla Procura di Roma e dalla Commissione Antimafia, quindi proprio scadente non deve essere, evidentemente. Eppure, non ha mai avuto una sola recensione su nessun giornale. D’altronde anche i giornalisti devono pagare il mutuo come tutti.

Perché, a distanza di tanti anni, c’è molta difficoltà ad arrivare, almeno, alla verità sulla violenta sparatoria che si verificò in via Fani? A sparare, probabilmente, non furono solo le Br. Forse non si deve scoprire chi altro era coinvolto?

Il motivo per cui mi sono occupato di via Fani è che, dimostrando che là dove sono possibili riscontri materiali sui 55 giorni, diventa chiarissimo senza ricorrere a teorie e complottismi che la verità ufficiale non regge. Quindi dobbiamo chiederci cosa nasconde questa menzogna istituzionalizzata. Secondo me, se vogliamo davvero rispondere un giorno a questa domanda, cruciale per la storia d’Italia, non dovremmo chiederci se in via Fani ci fossero soltanto due o tre brigatisti in più oppure un gruppo di non brigatisti con un gruppo di brigatisti. Il punto centrale della strage di via Fani e del sequestro Moro non è tanto chi ha fatto ma chi ha lasciato fare. Il resto è fiction da prima serata televisiva.

Aggiornato il 12 gennaio 2024 alle ore 10:30