“Narrare della Prussia parlando della Cina”: dogma freudiano che agisce da grimaldello per codificare la chiave de L’interpretazione dei sogni, titolo omonimo dell’avvincente e appassionante spettacolo, liberamente tratto dagli scritti di Sigmund Freud, che va in scena al Teatro Argentina fino al 21 dicembre. Stefano Massini ne è l’autore, il registra e il performer, come lui stesso ama definirsi. Dietro di lui, dalle sue ricerche decennali sugli scritti e sulla vita di Freud, ne escono sequenze telescopiche di scatole cinesi rappresentative del mistero che tutti ci riguarda: che cosa c’è in quelle stanze chiuse che abitano la nostra mente, in cui sono confinate tante copie diverse e deformate di noi stessi? È vero o no che, come San Pietro, abbiamo nelle nostre mani quel mazzo invisibile di chiavi per aprirle tutte, infilandone i calchi in quelle serrature che si chiamano, alternativamente, sogno, incubo, visione? Perché ci fanno così tanta paura da nasconderle perennemente a noi stessi?
Forse, perché ciascuno di noi avrebbe diritto a un fabbro-mediatore, a una copia personalizzata del genio di Sigmund che si faccia proteiforme, come il passe-partout di un ladro che si introduca di soppiatto in casa nostra, per aprire quelle stanze dove noi abbiamo ricoverato e sepolto i nostri tesori malati. Ecco, per scuotere la nostra omertà, bisogna proprio imbibirsi dei racconti biografici che Stefano Massini ci riversa dal palcoscenico, lasciando che agiscano come sassi scagliati dalla fionda di Davide, per abbattere il Golia che sta sulla soglia di un Santo Sepolcro imbiancato che rappresenta la nostra facciata di pupi pirandelliani, ciascuno con le sue corde serie, pazze e civili.
Ma il sogno-incubo non mente mai: ci dice “Chi” noi veramente siamo. Cosa che conosciamo benissimo ma che, quasi sempre, preferiamo chiudere in qualche stanza della nostra casa-mentis che ci rifiutiamo poi di riaprire. Come si diviene Caronte di se stessi per scolpire lo stampo delle chiavi che accedono a quel nostro “appartamento”? Tanti esempi vibranti, colossali, monumentali ci sono offerti dal traghettatore Massini. Freud che aveva la fobia del pollo, ma che in realtà era un modo del suo Doppio per dire che aveva “paura” di essere picchiato. E solo quando questo avviene in Freud bambino, scosso dai colpi alla schiena del suo medico curante, ecco che allora in quel momento la fobia evapora perché non ha più bisogno della sua paura. Come in una stanza aperta e arieggiata, le polveri e i virus prendono il volo trasportati dalla corrente. E, poi: come interpretare quel primo sogno chiavi in mano, quando suo padre impreca stravolto contro il locandiere che gli dice di non avere più posto, e l’interno è un ristorante pieno di stoffe con la tavola apparecchiata dove però non c’è nulla da mangiare? Quell’enigma lo insegue per anni, con Freud che costruisce per pezzi e per parti il mosaico conclusivo, in cui finalmente scopre che sì, il sogno riecheggia il rimprovero della sua coscienza perché nemmeno a se stesso è riuscito mai a confessare di essere stato un cattivo padre e marito.
E prima, prima c’è quella illuminazione della sua figlia piccola, quando gli dice che lui era in grado di rubare i segreti dalle menti degli altri, penetrandoli attraverso il foro degli occhi, cosa che aveva completamente eliminato e dissolto il fantasma della sua tata che ogni notte si alzava urlando dopo averlo incontrato? Ma quanto è bella quella ricostruzione della sua paziente perseguitata dall’incubo delle macchine da cucire e dei tessuti strappati, solo perché il suo doppio aveva assistito con il Terzo Occhio a un accidente casuale, in cui un povero cristo era finito su di una vetrata e lacerato in più punti dalle schegge di cristallo, con il sangue che zampillava come una fontana! O di quell’altra, perseguitata da un incubo ricorrente che la vedeva troppo bassa per raggiungere i banchi del mercato, arrivando sempre tardi per trovare solo pesce andato a male e il banco del macellaio sempre vuoto!
Che cosa c’era in quella sua stanza adiacente e irraggiungibile? E perché fa paura guardarci dentro, incontrare quella sezione del se stesso che la abita per dirsi: “Sì, finalmente ho capito il tuo messaggio, che viene da lontano, da un passato che non ho mai voluto passasse”. Nel carillon di nostra vita, quanti cavalieri di diverso colore vediamo fermarsi ogni volta sotto la corona, quando esala l’energia della molla? E perché credere che siano tutti diversi, se noi stessi siamo quel carillon? Quando Freud, sfidato in pubblico da un famoso collega chirurgo che lo invitava a interpretare un suo sogno apparentemente ridicolo, ne svela la chiave interpretativa della “fallibilità delle condotte umane”, così ci ammonisce: “I sogni sono materiale a rischio. Se non li maneggi con cura rischi di farti molto male”. Ma, ci assicura il nostro Virgilio-Massini, vale assolutamente la pena rischiare perché se si vince si arriva alla “Luce”! Spettacolo imperdibile.
Aggiornato il 15 dicembre 2023 alle ore 12:13