A 150 anni dalla nascita (8 ottobre 1873, Chisinau-24 maggio 1949, Mosca) si celebra il genio di Aleksej Viktorovic Scusev e il Centro Russo di Scienza e Cultura di Roma ha presentato un documentario sull’ “Architetto delle Tre Epoche”, noto anche per il progetto della Chiesa ortodossa di San Nicola di Bari e della Chiesa del Cristo Salvatore a Sanremo. Scusev attraversò consecutivamente tre periodi: l’Art Nouveau, il Costruttivismo e l’architettura Stalinista. Dai Romanov a Stalin ha disegnato il profilo dell’urbanistica prima russa e poi sovietica.
Nasce a Chisinau (oggi capitale della Moldavia) da una famiglia nobile impoverita. Già dal liceo conclude gli studi con medaglie d’oro. Si laurea in archeologia, viaggia in Italia, Austria fino in Tunisia raccogliendo stimoli che riporta nelle meravigliose chiese e conventi in chiave moderna. “Il mio approccio è scientifico”, dirà poi per spiegare le sue connessioni tra antichità e modernismo nelle linee dello sviluppo artistico europeo e nella scelta dei colori, per lui che aveva conosciuto l’impressionismo.
La Zarina Alexandra Romanova, nel 1901, confida in lui per il Padiglione della Russia nei giardini del Castello di Venezia, terminato nel 1914. E’ l’epoca della fama italiana del grande architetto, che nel 1911 riceve dalla Società Imperiale Ortodossa di Palestina la commissione per il rifacimento del tempio della Chiesa ortodossa di San Nicola, nel quartiere Carrassi di Bari, in cui fu posta la grande icona del Santo. Terminata alla fine della Prima guerra mondiale e meta di pellegrinaggi, solo nel 2007 si sono concluse le trattative tra Vaticano e Patriarcato di Mosca per la riconsegna dell’edificio, alla presenza dell’ambasciatore della Federazione Russa a Roma.
A Scusev è affidato in quegli anni il progetto della Basilica del Cristo Salvatore a Sanremo, in memoria dei soggiorni della Zarina sulla Riviera. L’architetto si ispira alla celebre struttura moscovita della Cattedrale di San Basilio, nella Piazza Rossa. Si avvale della collaborazione degli italiani Pietro Agosti, di madre russa, e di Franco Tornatore. Il risultato è una fusione armoniosa di stili, dal neo moresco, al neobizantino al neo classico, con le inconfondibili cinque cupole a bulbo e la svettante guglia tra le palme allora donate dalla Alexandrova.
In Russia che si svolge l’epopea urbanistico-architettonica del “maestro”. In occasione dei 300 anni della dinastia Romanov, nel 1913, Aleksej Scusev riceve l’affidamento del progetto di ricostruzione della Stazione Kazanskij di Mosca, ancora oggi una delle più frequentate d’Europa, in cui l’artista armonizza il bizantino con il barocco, come nella Sala Ristorante, e fonde lo sfolgorio impressionista con la pittura nazionale, come nella celebre Sala blu e verde.
L’ideologia sovietica avanza. Dopo la nascita del Partito socialdemocratico, nel 1903, è l’avvento di Vladimir Ilic Lenin, dei moti bolscevichi e della fondazione del Partito Comunista bolscevico dell’Urss, che durò fino al ‘52. “Sono andato d’accordo con i preti, andrò d’accordo anche con i bolscevichi”, ironizzò Scusev nei suoi appunti. Di fatti anche durante i moti rivoluzionari e “il periodo del terrore”, “il maestro” non lasciò mai i cantieri, riuscendo a passare da una commissione all’altra, dando lavoro a operai e progettatori e impegnandosi incessantemente nella risistemazione di Mosca, particolarmente intensa dal 1922 al 1924. Cioè fino alla morte di Lenin, fino a quel tragico 29 gennaio 1924, quando fu svegliato alle 4 del mattino per ricevere l’incarico di “una tomba esemplare”. A tre giorni dal funerale, a meno 25 gradi, l’architetto Scusev diede inizio al “poema del mausoleo”. Poema, perché doveva essere quello che oggi è evidente a ogni turista.
In un primo tempo Scusev pensò a “un sarcofago” ligneo (realizzato da Konstantin Mel’nikov) posto all’interno di una struttura temporanea. Primo progetto. Ossia i visitatori sarebbero passati a omaggiare la salma imbalsamata del leader della Rivoluzione e del fondatore dell’Unione Sovietica da una struttura a forma di cubo, al sarcofago, a una terza struttura a cubo, per consentire l’afflusso e deflusso. Ma l’enorme numero di persone indusse una immediata rivisitazione (secondo progetto temporaneo) fino alla struttura permanente marmoreo-granitica realizzata da una équipe di architetti guidati dal Scusev: una piramide a gradoni alta 12 metri per 24 metri di lunghezza, in cemento armato e mattoni, con lastre di marmo nero, labradorite nera, porfido e granito rossi. L’ingresso è chiuso da una porta a doppio battente di rame patinato sopra cui è scritto in caratteri cirillici il nome “Ленин”. Dal 1924 al 1972 dieci milioni di visitatori si sono recati in pellegrinaggio al “mausoleo”, ancora oggi meta turistica.
Il “mausoleo di Lenin” concesse ad Aleksej Viktorovic Scusev una sorta di “salvacondotto” quando a guidare la Russia giunse il fedelissimo di Lenin, Iosif Stalin, uno dei capi della Rivoluzione di Ottobre e del nuovo stato socialista. L’attività professionale dell’architetto-urbanista si arricchì di commissioni, tra cui la creazione del Circolo culturale degli Operai ferrovieri, che divenne “il teatro del popolo” e una delle migliori sale da concerto. Stalin conferì a Scusev il piano di ricostruzione della Città Rossa e l’architetto realizzò l’Accademia delle Scienze, l’Alberto Centrale, ma anche il Residence per gli Attori e Artisti del Teatro Bolshoi e il Palazzo degli Architetti a ferro di cavallo. Quanto all’Albergo Centrale di Mosca, Scusev presentò a Stalin in persona due progetti della facciata principale su uno stesso foglio. Stalin li approvò senza esitazione, ma ponendo la firma al centro del foglio costrinse l’architetto a eseguire esattamente le due versioni, unite l’una all’altra, creando così l’effetto di una discontinuità stilistica. Secondo la leggenda non si è mai capito chi dei due, Stalin o Scusev, volle introdurre il modernismo in Russia.
Arrivarono i tempi duri: una polemica con il ministro degli Esteri Urss, il Molotov dei tempi del patto con la Germania nazista, costò a Scusev la fama di “antisovietico” e gli procurò l’espulsione dal Direttivo degli Architetti. L’artista si diede un gran da fare per salvare la vita di molti altri “nemici”, ma inutile dire che per la sua fama fu riammesso nel Direttivo e operò fino alla morte, nel 1949 per malattia, progettando senza sosta: la ricostruzione di Stalingrado, di Kiev, grandi opere e città. Si racconta fosse severo, come appare dalle immagini, ma anche stravagante: indossava un vistoso anello con diamante, offriva spumante ai suoi collaboratori, era sposato ma poco si sa della sua vita famigliare. Diceva che l’architetto “è come un direttore d’orchestra” e l’architettura “è musica congelata”.
Il suo nome è legato al raddoppio e al secondo piano, nel 1940, del Palazzo della Lubjanka, la storica sede dei servizi segreti sovietici (dalla Ceka al Kgb), oggi sede dell’FSB russa. Fra gli abitanti di Mosca è frequente sentir definire che “la Lubjanka” è “il Palazzo della più alto di Mosca, da cui si vede la Siberia”. Pare che il primo a definirlo così sia stato Solzenicyn.
Aggiornato il 15 dicembre 2023 alle ore 15:51