ProtestArte

Il proibito piace comunque, perché è proibito. L’eccesso funziona perché violenta la nostra vita quotidiana, la quale è turbata dall’intruso, ma poi si scopre che sotto non portava l’intimo. Il buon gusto serve nei tè pomeridiani, il rispetto per gli avversari in rari birignao televisivi di seconda serata. Ma se si vuole aprire un piccolo museo ed essere sicuri che il mondo ne parli, bisogna adagiare un cadavere di Saddam Hussein dentro una cassa di vetro e crocifiggere un Ronald McDonald come fosse un cristo vero. La cui croce è, invece, un jet militare americano con bombe, mentre la madonna si solleva la veste scoprendo il pube, nella matematica certezza che un indignato sfregerà il dipinto, consegnandolo alla storia.

Alla fine dello scorso ottobre Barcellona ha aggiunto una tessera al mosaico della propria trasgressione, inaugurando il Museu de l’Art Prohibit, una galleria che raccoglie l’arte “espulsa” in quanto scandalosa. Tutto iniziò cinque anni fa, quando Tatxo Benet, al secolo Josep Maria Benet Ferran, dimostrò di essere un giornalista con senso della notizia comprando un’opera di Santiago Sierra che riproduce inquietanti ritratti di ventiquattro prigionieri politici del franchismo. Il regime del Caudillo finì con la sua morte, nel 1975. E forse perché non fu una rivoluzione a rovesciare la dittatura, quasi mezzo secolo dopo, in Spagna, si censurano ancora opere ispirate al semplice concetto di prigioniero politico, come se si avesse timore di infangare qualcosa che ancora aleggia nell’aria. Così sembra quasi che Tatxo sia un Don Quixote deciso a combattere da solo contro una società moderna e democratica che però continua a difendere, ad esempio, l’onorabilità del generale Francisco Franco quando l’artista Eugenio Merino lo rappresenta dentro un frigo della Coca-Cola. E per questo lo processa tre volte, anche se non lo condannerà. Per Josep Benet è stato un immenso piacere raccogliere i magnifici reietti di tutte le epoche, da Francisco Goya a Gustav Klimt, da Pablo Picasso a Banksy e Andy Warhol, per poi trovare duemila metri quadrati a pochi metri da Passeig de Gràcia e riempirli con pitture e sculture che, ora, troneggiano nella stupenda Casa Garriga Nogués.

Ancora McDonald’s preso di mira, con una donna grassa e ripugnante nuda in vetrina, tacchi a spillo su tappeti musulmani per la preghiera. Altri tacchi a spillo, ma a forma di revolver, calzati da Emiliano Zapata nudo a cavallo. E c’è persino un ritratto in polemica rinascimentale con i Medici. Una rassegna piena di provocazioni, una opposta all’altra. Un esempio: si difendono e si ridicolizzano gli omosessuali, i quali apprezzano e contrattaccano. Duecento opere, molte di autori eccelsi, alcune di valore artistico, mentre altre puntano quasi esclusivamente sull’aizzamento dopo essere state al centro di polemiche e aver subito dei sequestri.

Museu de l’Art Prohibit è un’invenzione dei nostri giorni, che gioca sul proibire di proibire e inserisce parole e frasi-chiave di sicuro effetto. Ma il livore con cui si assestano sferzate contro istituzioni e religioni, spesso, genera bordate di una violenza che travalica la materia del contendere. E potrebbe fare il gioco dei cattivoni professionali, quelli che abbozzano in attesa di poter proibire di esistere a chi proibisce di proibire.

Aggiornato il 13 dicembre 2023 alle ore 10:43