Non sopporto gli obsoleti, i noiosi, quelli che si ripetono sempre, instancabilmente uguali a loro stessi. Detesto le partigianerie, gli arroccamenti inutili. Provo disgusto verso le banalità trite e ritrite.
Per tutte queste mie idiosincrasie, l’attuale, ennesima, inutile, vecchia, stantia polemica scatenata dai soliti ancora fermi a un cenozoico pseudoculturale della sinistra italiota mi ha profondamente stancato, a tal punto che non ne avrei neanche voluto parlare, ma qualcosa – adesso che la mostra (della quale scriverò appena l’avrò vista) su Jrr Tolkien sta entrando nella sua fase tiepida – va pur detto.
Il tedioso refrain della sinistra intellettuale e critica di questo nostro sempre più bistrattato Paese è quindi il solito che sento sin dal lontano 1977, proveniente per lo più – o comunque spesso – da persone che non hanno mai letto le opere di Tolkien (ma ne dissertano) oppure da chi le ha lette e anche apprezzate e adesso, da qualche anno, sta cercando di compiere la stessa operazione di “assunzione” che attribuisce alla parte politicamente avversa, in un disperato quanto scivoloso e vano, tentativo di “recupero in area democratica” dello scrittore britannico. Devo dire oggi particolarmente aiutata in questo sport estremo, da una destra “intellettuale” spesso non in grado di rispondere con acume, ironia e sapienza alle critiche.
Se si avesse più memoria, basterebbe retrocedere nel tempo e si vedrebbe come la polemica si ripeta tristemente uguale ogni qual volta, in Italia, ci sia qualcosa a livello popolare – o popolano – riguardante Tolkien e la sua produzione letteraria. Ecco che allora si riesuma tutto un repertorio più vecchio di me, che sono del 1963, con i soliti Campi Hobbit, con Julius Evola, con Marco Tarchi e Pino Rauti, con La Voce della Fogna, Ordine Nuovo e Terza Posizione in un mélange buono per tutti i palati non avvezzi, insomma con tutto quell’apparato anarcodestrorso che possono dire di aver conosciuto soltanto gli appartenenti alla mia generazione e non certo chi è nato dopo. Il che già dovrebbe indurre a un bel tacere.
Devo ricordare inoltre, che in quest’occasione, l’unico ad aver replicato con parole incisive e trancianti, sia verso destra sia verso la sinistra, è stato Franco Cardini dalle pagine di PolicyMaker e qua, parole e pensieri che mi sento di sottoscrivere in larghissima parte.
Insomma, in questo variegato e a volte avariato mondo che da un lato e dall’altro troppo spesso s’illude d’esser il migliore possibile e nel quale molti sognano d’essere nani delle miniere di Arda armati d’ascia e dalle corrusche armature o cavalieri di Rohan, mai saliti su un arcione o misteriosi elfi sino a credersi sapienti e saggi come Gandalf, quando in realtà non arrivano neanche all’altezza del più piccolo degli Hobbit, mi permetto di suggerire alcune nuove fonti d’attacco culturale alla sinistra verso la destra, spaziando in un campo più vasto ma sempre imperniato sul Fantastico, così poco noto ad entrambe le fazioni e pertanto, al tempo stesso suggerirò nuovi (per moltissimi tra loro) autori mediante i quali ampliare una panoplia letteraria – e dunque culturale – abbastanza ristretta.
Dunque spero che lo stesso veemente assalto critico e ideologico al “fortino Tolkien” venga portato contro un autore che oggi verrebbe accreditato di razzismo come Robert Ervin Howard, il creatore di Conan il Cimmerio, oppure contro il “fascista”, il “reazionario”, il misticheggiante ed esoterico Frank Herbert per il suo Dune. Non basta, vado oltre, suggerendo ai critici di sinistra di levare gli scudi contro Robert Heinlein per il suo “nazisteggiante” Fanteria dello spazio, così come – orrore a dirsi – potrebbero scoprire una visione misogina in Fritz Leiber, un’altra romanticamente aristocratica in Lord Plunkett Dunsany o in Poul Anderson (ah quest’ultimo convinto antinazista, danese naturalizzato americano), sino agli eroi della frontiera dipinti meravigliosamente da Leigh Brackett sui deserti del rosso e morente Marte, per accusare di sessismo l’Elric di Michael Moorcock in quanto detto “l’Uccisore di donne”, per concludere, dulcis in fundo, con il ciclo più “fascistoide” di tutti, quel meraviglioso e unico caso rappresentato da Gordon R. Dickson con i suoi Dorsai, dove i miti celtici si rinnovano in questa stirpe di mercenari che vivono di cornamuse e battaglie, in un prossimo futuro, dove un “generale genetico” si rivela condottiero oltre l’umano.
Così concludo questa sin troppo lunga disamina di una sterile, vacua, malmostosa polemica che tanto si ripeterà ancora, perché questo è lo sport “politico” prediletto del nostro Paese, stracciarsi le vesti per nulla e lasciare che intanto il tempo e il mondo scorrano senza mai fare qualcosa di buono per cercare di fermarne il declino.
Ambo i lati, beninteso.
Aggiornato il 27 novembre 2023 alle ore 13:09