Non possiamo e dobbiamo pensare che un talento, un artista e un amico come Massimo Troisi non ci sia più. Ogni volta che si parla di lui ci viene restituito un mito che non tramonta e che si rinnova nella scoperta di aspetti, aneddoti e contenuti. È questo il pregio del libro sull’attore-regista napoletano scritto da Ciro Borrelli Pensavo fosse un comico invece era Troisi per la Phoenix Film Production nel 2019, ma presentato solo in questi giorni a causa dei rinvii post-Covid. Sin dalla scelta del titolo, ispirato al film del 1991 Pensavo fosse amore…invece era un calesse, emerge il tocco originale che Borrelli, anche lui campano, laureato in scienze storiche, impiegato pubblico e per passione scrittore, saggista e sceneggiatore, ha voluto dare all’opera presentata nell’ambito della rassegna Iplac nello spazio romano del Caffè letterario Horafelix di Maurizio Messina. Il testo si apre con una toccante lettera della sorella Rosaria Troisi, la quale svela l’arcano del “Troisi dopo Troisi”, ossia l’anima di un genio che vive e rivive: “Quando è scomparso – racconta – non ho sofferto come immaginavo, perché l’amore travolgente della gente me lo ha restituito”.
Borrelli segue in particolare questo filone: le testimonianze, i racconti degli amici, i ricordi di chi ha lavorato con lui, i profili tracciati da saggisti e studiosi. Anche da un punto di vista critico, come ha spiegato Graziano Marraffa, presidente dell’Archivio storico del cinema italiano, una delle memorie più fervide della nostra cinematografia, c’è ancora molto da dire sulla poetica e narrativa “troisiana”: “Il lavoro di Borrelli mostra cosa c’è dietro l’attore e l’autore e le innovazioni introdotte da Massimo. Sicuramente un erede dei grandi comici come Eduardo De Filippo, Peppino De Filippo, Totò, Alberto Sordi e Paolo Villaggio insieme ai contemporanei come Roberto Benigni, Francesco Nuti, Carlo Verdone, ma che nel tratteggiare il napoletano della porta accanto alla scoperta del mondo (“Io non sono emigrante”, ripete in Ricomincio da tre) ha introdotto la modernizzazione rispetto alla tradizione e ha reso la commedia napoletana globale”. Un Pulcinella senza maschera, come lo hanno definito.
Di Massimo Troisi si sa molto e ricca è la bibliografia, ma il lavoro tecnico di ricucitura biografica e professionale di Borrelli e la presentazione dell’opera sono state l’occasione per una straordinaria carrellata di ricordi, quasi tutti di prima mano, di persone che hanno conosciuto il giovane, l’uomo e l’attore e ne hanno restituito il lato umano in una rassegna di definizioni, frasi e battute celebri. Come quella sulla sua famiglia di origine di San Giorgio a Cremano, dove nacque il 19 febbraio 1953, quinto di sei figli, padre ferroviere e madre casalinga: “Sono nato in una casa con 17 persone. Ecco perché ho questo senso della comunità assai spiccato. E perché quando ci sono meno di 15 persone soffro di solitudine”, ricorda Borrelli. Poi la predestinazione, per cui “il nostro” già da neonato era famoso avendo la madre Elena inviato una sua foto all’azienda per bimbi Mellin, che lo scelse come testimonial dei biscottini. Da qui in poi la sua intensissima carriera a cominciare dai teatri parrocchiali, ma anche le classi dell’Istituto tecnico per geometri dove insieme con Lello Arena, Nico Mucci e Valeria Pezza ha iniziato a incantare il pubblico.
Tuttavia, questi sono anche gli anni delle prime avvisaglie sulla salute fragile a causa di un malfunzionamento della valvola mitralica in seguito a una febbre reumatica. Ma è proprio il cuore la dominante sofferta ed elevata, che connota i lavori di Troisi di un sentimento unico. ‘O ssaje comme fa ‘o core, recita nella poesia messa in musica dall’amico Pino Daniele. E non è un caso che alla presentazione alle parole siano seguite anche le note delle celebri colonne sonore e le cantate napoletane riproposte da Francesco De Luca. Il cuore di Massimo subisce il primo intervento importante a 23 anni a Houston, sotto le mani del noto cardiochirurgo Michael E. DeBakey. Un viaggio della speranza frutto della singolare colletta che impegnò la sua città, i compagni, il quotidiano Il Mattino e già il mondo dello spettacolo partenopeo che lo amava. A raccontare dal vivo questo episodio è Maria Rizzi, colonna fondativa di Iplac e animatrice delle presentazioni letterarie romane, in questo caso in veste particolare di “compagna di classe” di Troisi, a cui è legatissima: “Quella colletta fu un caso, perché tutti volevano salvare il cuore di Massimo”. E ci riuscirono. Con le nuove valvole Troisi fa impennare la scalata al gran successo.
È il 1977, gli anni de La Smorfia, con Lello Arena e il bell’Enzo Decaro quando al San Carluccio Pina Cipriani chiese loro come si chiamava il gruppo e Massimo rispondendo con “una smorfia” inventò il titolo caro alle credenze napoletane. “Il successo al San Carluccio porta i tre al cabaret La Chanson a Roma”, rievoca Roberto De Luca, poeta e scrittore, che vive ai Castelli Romani, “dove il trio viene adocchiato dal mago Enzo Trapani e dall’altro autore testi di Non stop Giancarlo Magalli. Si realizza il grande sbarco in televisione anche sotto l’egida del patron dei talent scout Pippo Baudo, che li lancia nel sabato sera di Luna Park. È il tempo degli sketch più fortunati, come quello dell’umile moglie del pescatore scambiato da Lello Arena nei panni dell’Arcangelo Gabriele per la Vergine Maria e del tormentone “Annunciazione, annunciazione”, ancora oggi in cima alle rappresentazioni degli spettacoli giovanili. I giovani di oggi non si sono accorti della scomparsa terrena di Troisi: lo citano, lo ripetono, si ispirano a lui in un dialogo continuo. “Perché Massimo aveva la dissacrazione colta e benevola che oggi manca”, analizza Graziano Marraffa, che con il suo prezioso patrimonio di materiale cinematografico dell’archivio rappresenta la memoria storica e una voce di punta del settore. “Massimo non era tenero soprattutto con il potere, ma come avevano insegnato Eduardo e Totò, la critica non era mai violenta o solo distruttiva”.
Insegnare a essere buoni, umili, ma liberi, vigili e sarcastici, questo è il testamento di Troisi. Ricorda una battuta l’autore Ciro Borrelli quando, raggiunto il successo teatrale e televisivo, tutti interrogavano Massimo e lui così commentava: “Adesso vengono i giornalisti e mi chiedono Troisi, tu che ne pensi di Dio?, Troisi, come si possono risolvere i problemi di Napoli?, Troisi, come si può esprimere la creatività giovanile? Ma che è? Pare che invece ca ‘nu film agg’ fatto i dieci comandamenti”. Sono gli anni Ottanta, il comico con i produttori Fulvio Lucisano e Mauro Berardi e la direzione di Luigi Magni arriva al grande schermo. Soprattutto dopo l’incontro con la compagna di una vita, la sceneggiatrice Anna Pavignano, con cui scrive quel capolavoro che è Ricomincio da tre. Film girato in 6 settimane, uscito nelle sale il 12 marzo 1981 e che sbancò con 14 miliardi di lire al botteghino, tanto che una sala a Porta Pia lo tenne in cartellone per seicento giorni. Arrivarono il David di Donatello, tre Nastri d’argento, e due Globi d’Oro. E iniziarono gli accostamenti coi grandi della comicità Eduardo e Totò. “Ma Massimo era schivo e quando gli domandavano cosa gli aveva lasciato De Filippo, rispondeva con la sua tipica calata “niiiente”, narra De Luca.
L’altro capitolo di questa vita indimenticabile è l’incontro tra Massimo Troisi e Roberto Benigni, che stabilisce il record di Non ci resta che piangere del 1984, trama che nacque per caso durante i sopralluoghi dei comici in Toscana e nell’Italia centrale, quando inventarono l’idea dei due amici catapultati nel 1492 alle prese con la storia da rifare. “Più di un miliardo di biglietti”, ricorda Borrelli, “scavalcando i campioni di incassi dell’epoca Indiana Jones e Ghostbusters e dando vita a una coppia che rievocò il duo Eduardo (Benigni)-Peppino (Troisi). E da qui gli incontri con i grandi attori come Marcello Mastroianni e coi registi come Ettore Scola”. Il cuore di Massimo riprende a fare i capricci. Durante un viaggio negli Stati Uniti l’artista torna a farsi visitare a Houston, dove apprende che le valvole vanno sostituite e inizia la corsa per un cuore nuovo. Ma è proprio questo “cuore nuovo” che mette in difficoltà il poetico, sentimentale, profetico napoletano. Che rimanda e rimanda. Anche perché nella sua vita era entrata l’ultima compagna, Nathalie Caldonazzo, che gli aveva regalato il libro Andriente Paciencia del cileno Antonio Skàrmeta, edito in Italia da Garzanti con il titolo Il postino di Neruda, che narra la nascita della grande amicizia tra un postino e il poeta cileno. Corsa contro il tempo, come la rievocano i relatori della serata: acquisto dei diritti, la proposta a Robert Redford, che lo aveva chiamato per lavorare insieme, la sceneggiatura firmata a tre mani da Troisi, Redford e Furio Scarpelli, l’incontro a Los Angeles, la visita cardiologica sull’impellenza del trapianto, l’inizio delle riprese a Cinecittà nel 1994 con Philippe Noiret nei panni di Neruda.
E qui parte il racconto straziante dell’amica di gioventù Maria Rizzi, all’epoca già attiva nella cultura, che lo rincontra dopo anni nella roulotte dove Massimo si riposa durante le riprese. “Non era più lui, magro, stanco, quando lo abbracciai capii il dramma”, ricorda con commozione. “Di fatti aveva una controfigura, Gerardo Ferrara, che lo copriva nelle scene più faticose. Gli chiesi perché non interrompeva e andava a prendersi quel cuore nuovo che a Houston era pronto per lui. Erano gli anni pionieri dei trapianti. La produzione mi disse che tutti erano disposti ad aspettarlo. Ma Massimo no. Disse una frase con uno sguardo che resta scolpito negli occhi e nel cuore. “Marì, ‘sto film l’aggia fa col cuore mio”. È il testamento morale di Massimo Troisi. “Il postino è effettivamente un capolavoro di poesia, arte e dura ironia sui mali della vita”, afferma lo storico dei reperti cinematografici Marraffa. “Il cambio di finale, in cui a morire è appunto il postino dell’isola del sud rivisitata dal poeta cileno e sua moglie durante gli sconvolgimenti politici dell’Italia dei conflitti tra comunisti e democristiani, presagisce al dramma”.
È una catarsi. Troisi in dodici settimane completa le riprese, l’ultimo ciack si svolge il 3 giugno a Cinecittà. Il giorno seguente l’attore-regista si reca ospite dalla sorella a Ostia per riposarsi, ma muore nel sonno stroncato da un infarto all’età di 41 anni. “Un vero napoletano ti saprà dire che cosa stava facendo e dove si trovava quello sciagurato pomeriggio del 4 giugno del 1994, il giorno in cui si apprese della morte di Massimo Troisi”. E un vero napoletano come Ciro Borrelli, un vero cinefilo come Graziano Marraffa, un vero estimatore poeta come Roberto De Luca e una vera amica letteraria come Maria Rizzi non potevano fare altro che rievocare Massimo, riportarlo al pubblico, ai giovani e a quella ribalta che se all’epoca gli negò l’Oscar postumo, forse per qualche pregiudizio sul soggetto, oggi potrebbe trovare il modo di riparare alla mancanza. Bentornato Massimo.
(*) Pensavo fosse un comico invece era Troisi di Ciro Borrelli, Phoenix Film Production 2019, 150 pagine, 12,90 euro
Aggiornato il 17 novembre 2023 alle ore 15:02