“Gli ultimi giorni dell’umanità”

Finalmente Karl Kraus

Karl Klaus, uno dei pochi pensatori satirici tedeschi che ebbe l’ardire di mettersi contro i “Poteri forti” di tutti coloro che favorirono in ogni modo l’entrata nella Grande Guerra degli imperi di fine Ottocento. Questa danza macabra di tutti i soggetti coinvolti – politici, industriali, intellettuali, militari, medici, autorità, magistrati, gente comune – ha come protagoniste paradossali marionette messe in ridicolo nella sua opera Gli ultimi giorni dell’Umanità, la cui riduzione teatrale va in scena fino al 19 novembre al Teatro Arcobaleno di Roma. Spettacolo complesso quest’ultimo, che nel prologo presenta una lunga lettura, con accompagnamento di filmati d’epoca, di un ampio testo profetico di Robert Musil, tratto dal suo saggio L’uomo senza qualità, in cui il futuro della modernità è la perfetta alienazione dell’umano, preso in un vortice di tecnologia veloce senza più pensiero creativo, in cui sono le macchine a dettare i comportamenti degli uomini. Si chiede in proposito la nota di regia se per caso, a cento anni circa di distanza da Musil, non stiamo assistendo a un’altra mutazione profonda di un’Umanità di nuovo ai suoi ultimi giorni, con l’avvento tempestoso dell’Intelligenza artificiale. E siccome sono molti i quadri della follia bellica che spinse interi popoli al sacrificio inutile su fili spinati, trincee, campi di battaglia senza alcuna altra ragione che la strage reciproca di persone comuni, contadini, proletari e intellettuali, la regia di Gianni Leonetti decide di selezionarne alcuni, per un ragionamento artistico e socio-politico che va molto oltre una semplice rappresentazione, come lo fu per il film di denuncia “Uomini contro”.

Così, all’aspetto della “cura”, con le infermiere e i dottori compiacenti incaricati di sopprimere il dissenso di chi denuncia la guerra inutile, rifiutandosi di combattere, si alterna la donna con la carrozzina, la quale non solo si vanta di aver denunciato (“che potevo fare se non questo?”) due imboscati, ma addirittura rimpiange di aver avuto una figlia femmina e non un maschio da sacrificare alla gloria dell’Imperatore di Prussia. Non diversamente folle, nella sostanza, da quel generale che si inquieta e rattrista perché la sua brigata ha avuto meno caduti delle altre nei ranghi degli ufficiali. O la lettera scritta in risposta a un’ultima lettera d’amore del soldato al fronte, arrivata a destinazione dopo mesi di silenzio, da una moglie lasciata sola in patria e subito consolatasi con un altro uomo da cui aspetta un figlio, comunicando cinicamente il tutto al proprio marito, nella certezza che non tornerà mai più dalla guerra. Altra danza sul filo dell’assurdo è quella di una coppia tedesca di arrivisti di regime, in cui accade come nei disegni satirici del povero Georges Wolinski (assassinato nel 2015 dai terroristi islamici nella Redazione di Charlie Hebdo) che i due si insultino e si strappino i vestiti di dosso, per poi finire a letto nella loro hubris esistenziale, incuranti della tragedia assoluta di una guerra devastante, che fa il vuoto attorno a loro.

Altro quadro devastante, mimato alla perfezione da un gruppo di attori veramente bravi, è quello delle prostituite inviate nelle retrovie per saziare la fame di sesso giovane, ormonale e sbrigativo di molte migliaia di coscritti, prima del fischio dell’ufficiale che darà inizio all’ennesima, sanguinosa sortita delle truppe dalle trincee, per affrontare in campo aperto il gas e le mitragliatrici del nemico. Loro, le sacrificate di quei pochi minuti di godimento effimero, che riportano a casa come dono lunghi soggiorni, e più spesso la morte negli ospedali, devastate dalla sifilide e dalle malattie veneree. Infine, il campo dei morti, in cui la voce narrante grida la sua disperazione e denuncia tutte le malefatte di chi si è arricchito enormemente con i profitti della guerra, ben sapendo quel che facevano, incuranti del valore della vita umana. Popoli inermi convertiti in carne da macello da un sistema di comunicazione di massa che allora accese l’odio tra Nazioni costruendo mostri contro i quali battersi all’ultimo sangue, e sfornando per questo armamenti micidiali quali l’umanità non aveva mai visto in precedenza. Ritratti tutti di spalle quei meri esecutori in divisa, mentre i loro burattinai non compaiono mai né in figura, né nella rappresentazione, come accade anche oggi nel caso degli attori occulti della globalizzazione.

Spettacolo bello, interessante e innovativo. Da non perdere, anche perché Karl Klaus ci parla, come se fosse oggi, delle nostre piaghe contemporanee, con due guerre in atto.

Aggiornato il 13 novembre 2023 alle ore 13:41