Al Teatro dei Ginnasi rivive Sebastiano Carta

Dal 2019, nel cinquecentesco (più volte ristrutturato) Palazzo Ginnasi in via delle Botteghe Oscure, che si affaccia su largo di Santa Lucia dei Filippini, proprio di fronte alla sede del Museo nazionale romano “Crypta Balbi”, è attivo il Teatro dei Ginnasi, che mette in scena testi di alto valore artistico e filologico. In occasione del 50esimo anniversario della morte di Sebastiano Carta (1913-1973), pittore e poeta futurista, la direzione del teatro ha voluto rappresentare, solo la sera dell’11 novembre, per la regia di Piermarco Venditti, Storie di Carta-Sicilian Rhapsody, atto unico tratto dal libro Cuore di scimmia (Associazione culturale Il Foglio, 2009) di Elisabetta Carta, figlia di Sebastiano.

“Da piccola credevo che Sebastiano fosse un orco, come quello delle favole, che mi era toccato per padre. La cosa non mi dava molto pensiero, sia perché ero così abituata all’atmosfera delle favole da confonderle con la realtà, sia perché gli orchi non erano poi così cattivi, tant’è vero che spesso si redimevano, come quello de La bella e la bestia o come il rospo che poi diventava principe. Pensavo che tutti ce la potessero fare a vincere la propria natura oscura e quindi anche a lui davo una possibilità”. Così Elisabetta Carta – che per un’ora e mezza ha retto magistralmente la scena da sola, con un racconto-monologo, nell’elegante scenografia di un salotto romano borghese anni ’30-’60 “e dintorni” – ha sintetizzato, diremmo, il complesso rapporto col padre Sebastiano, ripercorrendo gli anni della sua infanzia e giovinezza. Elisabetta, formatasi alla scuola “Studio di Arti sceniche” del drammaturgo polacco ebreo, naturalizzato italiano, Alessandro Fersen, seguace del metodo Stanislavskij, ha debuttato giovanissima al Teatro di Genova per Luigi Squarzina, nel testo Vita di Moliére, di Mikhail Bulgakov, lavorando poi per anni nel teatro. Con registi come appunto Squarzina, Gabriele Lavia, Maurizio Scaparro, su testi di Luigi Pirandello, William Shakespeare, Italo Svevo e altri. E ha interpretato ruoli di rilievo in molte commedie e fiction tivù e radio.

Attraverso le esperienze di una bambina che diventa donna, nella pièce rivivono le vicissitudini di un grande artista e della sua famiglia, fra Roma e la Sicilia, dagli anni Quaranta ai giorni nostri. Ma chi era, Sebastiano Carta? Carta nasce a Priolo Gargallo, cittadina oggi nel libero consorzio intercomunale di Siracusa, nel 1913. Aderisce al Futurismo da giovanissimo e a soli vent’anni, dopo aver ricevuto complimenti dal “mostro sacro” Filippo Tommaso Marinetti per il suo scritto Sistemazione Fisica, superando anche le opposizioni della famiglia parte per la Capitale. Marinetti, intuendone subito le potenzialità, lo introduce nel gruppo futurista romano, del quale Carta rappresenterà il lato più “anarchico” e trasgressivo, discostandosi anche dagli stilemi più tradizionali del movimento. Produce tavole “parolibere” (1933), espone, nel ’36, dal poliedrico regista e organizzatore culturale Anton Giulio Bragaglia alla sua Casa d’Arte, e firma, lo stesso anno, il Manifesto della Poesia Murale, tra i vari manifesti programmatici del Futurismo. Poeta, pittore, polemista, nel ‘44, terminata l’esperienza futurista, insieme a Giovanni Stradone, Piero Dorazio, Cesare Zavattini, Renato Guttuso, fonda la Casa Rossa, un gruppo di “cultura antiborghese” cui aderiscono artisti che, come lui, hanno scelto Roma come nuova città di elezione.

Artista anomalo, sempre a Roma partecipa a due Quadriennali, sviluppando una pittura diversa da tutti i suoi amici e compagni di viaggio, esplorando sin dagli anni Cinquanta un astrattismo concettuale che lo porta più vicino alla Bauhaus (la mitica scuola d’arte e design operante in Germania dal 1919 al ’33, tra i simboli stessi della Repubblica di Weimar) che alla pittura italiana, spesso sconfinando in area espressionista. Commovente l’interpretazione di se stessa fatta da Elisabetta che, sulla traccia del suo libro Cuore di scimmia, si rivede da piccola, tra famiglia e giochi con altri bambini, poi negli anni della scuola media e dell’adolescenza. Mentre, intorno a lei, Roma per alcuni anni (tra i ’50 e i ’60) s’impone tra i laboratori di sperimentazione europea (con eco anche Oltreoceano) per le arti figurative e, in parte, la stessa architettura.

Alla Scuola di Roma degli anni ’30-’40 avevano variamente aderito giovani artisti emergenti come Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Emanuele Cavalli, Ezio Sclavi, Domenico Purificato, Fausto Pirandello (figlio del grande Luigi). Nel Dopoguerra, a metà anni Cinquanta, quest’eredità prosegue nella Scuola di piazza del Popolo, con nuovi artisti come Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli, Giosetta Fioroni. Elisabetta ripercorre quegli anni in cui l’Italia, da poco uscita dalle immani ferite della guerra, cerca febbrilmente di ritrovare una sua identità civile, sociale, artistica. Quello di Sebastiano Carta è un percorso solitario, non privo di successi ma segnato da problemi economici e da una difficoltà d’inserimento nel contesto borghese e commerciale che, negli ultimi anni, gli renderà difficile esporre. Morirà a soli sessant’anni, a Roma, nel 1973. Uno spettacolo ottimamente interpretato da Elisabetta Carta, che fa riflettere non solo sul significato dell’arte e della cultura in genere, ma sul senso complessivo della vita.

Aggiornato il 13 novembre 2023 alle ore 12:04