Ennesima opera di Franco Ferrarotti, amichevole augurio di continuazione. È un intellettuale critico, Ferrarotti, e non sempre gli intellettuali sono critici. Vale a dire, non accettare la realtà senza valutare se l’apparenza inganna e c’è dell’altro sotto il veduto, udito, riconosciuto. Questo suo recentissimo libro, Schegge di vita, è una raccolta di testi divaganti, argomenti ramificati, persone, personaggi, divaricazioni concettuali. Forse già scritti e ora raccolti. La scrittura, talvolta sostenuta da animazione dialettica, talvolta come un parlato, talvolta narrazione. Prendiamo quanto Ferrarotti considera da opporre a Jean-Paul Sartre: che Sartre esige dallo scrittore l’azione e la decisione, non soltanto la scrittura. Ricordo che Alberto Moravia dichiarava e mi diceva che lo scrittore che si volge all’azione non ha spesso valore come scrittore e cerca una compensazione. Sartre intendeva dire che un pensiero che non giova a trasformare la vita sociale è vacuo, sulla scia di Karl Marx (Glosse a Feuerbach: I filosofi hanno pensato il mondo, ma bisogna trasformarlo) rivendicava un pensiero, appunto, idoneo a capire la realtà per operare nella realtà? Ferrarotti non accoglie questo obbligo di azione e decisione. Lascio la questione come questione, con una notazione: mai ritenere artista, espressivo colui che sarebbe tale soltanto perché si “impegna”.
Credo che Ferrarotti voglia scansare questo pessimo equivoco. E in effetti lo ritengo un equivoco da scansare. A proposito, le notazioni su quanto Ferrarotti dedica a Pier Paolo Pasolini. In modalità borgatare, paesane, terzomondiste anche Pasolini entra nell’equivocità; viene considerato per le sue opinioni confuse con le sue capacità espressive. Opinioni che Ferrarotti ironizza, se non irride. In realtà ostracizzare tutto e tutti: omologazione, società dei consumi, borgatari integrati, piccolo borghesi, borghesi, proletariato, da parte di Pasolini lo faceva brancolare nel vuoto o presunte società pre-capitaliste che di sereno avevano la fame e la fatica. Queste pagine di Ferrarotti vanno lette. Ma vi sono pagine esistenziali, narrativamente risolte proprio come narrazione. Ferrarotti ha il gusto della individualità, fu lui a introdurre in Italia la metodologia delle Storie di vita, una coniugazione tra il singolo e il sociale, la società in ogni individuo. La ritrattistica della madre, un pezzo tragico nella serenità che lo ricopre, questa madre mai ferma anche in estrema età, e che muore passando dal dormiveglia alla fine con il giornale sulle gambe, nel non dire il tragico perviene al tragico, dicevo, senza grida, contegnoso, ma, insisto, tragico.
E lo scrittore William Faulkner, maniaco della sua terra, il Sud degli Stati Uniti, dei suoi cavalli, indifferente al resto, sembra di mente stretta; invece, è devoto a ciò che ama. Vi sono testi peculiarmente sociologici e una cronaca di rapporti con sociologi, artisti. Leggendo e guardando immagini mi appariva la sua facilità discorsiva, gli incontri, i dialoghi. Ero ragazzo a Messina quando lessi un libro di Ferrarotti, sul sindacalismo negli Stati Uniti, nella sua rivista La critica sociologica mi pubblicò un testo sul tramonto del realismo socialista a cui tengo. Incontri, dialoghi, dicevo, e ora questo libro, che tra un testo e l’altro ha un’ombra, l’ombra del tempo, l’ombra del nulla, e tuttavia la consistenza del sé non come obbligo di impegno ma come passione di vivere il proprio sentire la vita.
(*) Schegge di vita di Franco Ferrarotti, Armando editore, 252 pagine, 22 euro
Aggiornato il 08 novembre 2023 alle ore 11:18