Uno sguardo femminile sul neorealismo. L’opera prima di Paola Cortellesi dietro la macchina da presa affascina e sorprende. L’attrice romana racconta con C’è ancora domani una storia intrisa di violenza e voglia di rinascita in una Roma anni Quaranta fotografata in bianco e nero. Il copione, scritto da Cortellesi insieme a Giulia Calenda e Furio Andreotti, mette in scena “la vita di quelle donne che nessuno ha mai celebrato, quelle che, come niente, si prendevano uno schiaffo in faccia dal proprio marito e poi come cenerentole tornavano a lavorare”. A parlare è la stessa cineasta nell’incontro con la stampa alla Festa del cinema di Roma. È giusto raccontare “storie incredibili di nonne e bisnonne che venivano considerate delle nullità, che nessuno ricorda. Certo c’era anche Nilde Jotti a quei tempi, ma quella era un’eccezione, le donne allora non contavano nulla. Un esempio: mia nonna quando parlava diceva cose sensate, ma chiosava poi così, ma che capisco io?”. Il film prodotto da Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside, società del gruppo Fremantle, e Vision Distribution, società del gruppo Sky, sarà in sala dal 26 ottobre distribuito da Vision Distribution in 500 copie.
Siamo nella la Roma del primissimo Dopoguerra, qui Delia (Cortellesi) è una madre di tre figli e moglie di Ivano (Valerio Mastandrea), un uomo dal brutto carattere, autoritario, uno che la picchia (per lui è normale). In casa c’è anche il suocero, Ottorino (Giorgio Colangeli) il più maschilista di tutti, capace anche di dare consigli al figlio. Uno su tutti: “Non devi picchiare Delia così spesso, altrimenti si abitua. Devi picchiarla molto più forte, ma raramente così se ne ricorda”. E poi c’è l’amica fruttivendola (Emanuela Fanelli) l’unica con cui si confida. Nel film, ambientato in una Roma dolente degli anni Quaranta e dove la violenza di Ivano verso Delia è come coreografata, da uno schiaffo o un tentativo di strangolamento può partire un romantico balletto. Chiave di volta è una lettera che riceve la donna e che cambierà la sua vita. “Il doppio registro, tragi-comico, nasce dal fatto che mi sono chiesta quanto potevamo spingerci nella comicità trattando di una violenza domestica. Abbiamo allora preferito farli ballare e che a lei scomparissero i lividi appena subiti. Non mi sono mai piaciute le scene violente iperrealiste che vengono sempre scavalcate da una sorta di voyeurismo”.
Aggiornato il 19 ottobre 2023 alle ore 15:18