“La moglie di Tchaikovsky”: la follia della diversità

Quale fu la marcia nuziale per i neo coniugi Tchaikovsky, Pëtr Il’ič e Antonina Miliukova? Di certo, si trattò di quella funebre, ma priva di accompagnamento musicale, intonata già in occasione di un pranzo di nozze a dir poco catastrofico. Alla ricostruzione di quella sfortunata e improponibile unione, il regista Kirill Serebrennikov dedica il suo film di circa due ore e trenta dal titolo La moglie di Tchaikovsky, con Alyona Mikhailova (Antonina) e Odin Lund Biron (Pëtr Il’ič), da oggi nelle sale italiane. Il ritratto in chiaroscuro di Antonina non lascia dubbi sulla sua personalità piccolo-borghese, avvezza ai pettegolezzi e alle furiose liti di famiglia tra madre e figlie, in cui i sentimenti d’odio reciproco anche tra sorelle erano la principale occupazione di una famiglia socialmente fallita.

Così, la sartina Antonina (definita veramente stupida dai due fratelli di Tchaikovsky) un giorno del 1865, a soli sedici anni, conosce in uno dei salotti bene della comunità artistica dell’epoca il suo adorato Pëtr Il’ič, per il quale sperimenta da subito il classico colpo di fulmine. Sul tipo: “Io ti amo ma tu non lo saprai mai”. Finché Antonina alcuni anni dopo, divenuta ormai una “stagionata” signorina, abbandona il suo lavoro di sartina e si iscrive, dando fondo ai suoi magri risparmi, a un corso di studi al Conservatorio musicale di Mosca dove insegna Pëtr Il’ič, già a quel tempo molto più interessato a corteggiare i suoi allievi maschi, senza che la ingenua futura moglie ne percepisse appieno la sua “diversità”.

Tant’è che due anni dopo aver abbandonato per evidenti difficoltà economiche il suo corso di studi musicale, Antonina inizia a scrivere lettere piene di passione al suo Pëtr Il’ič che decide di andarla a trovare nella sua umile monocamera alla periferia di Mosca. Il regista ricostruisce con grande maestria le strane atmosfere di quei momenti, da cui traspare l’indifferenza e l’approccio strumentale del compositore nei confronti della sua sprovveduta innamorata, decidendo di chiederla in sposa soltanto per assecondare le pressioni ricevute dal padre di farsi una famiglia e, soprattutto, per tacitare i rumor insistenti all’interno della buona società russa, a proposito delle sue frequentazioni con ambienti dichiaratamente omosessuali. Da lì in poi, una volta celebrato il matrimonio nel 1877, il regista seziona con finezza e profondità chirurgica tutte le piaghe di quella unione contro natura, dando ampio spazio alla malcelata repulsione di Tchaikovsky per il corpo femminile e i suoi spazi affettivi, avvolgenti, sconfinatamente affettuosi, malgrado lui non facesse nulla per nascondere il suo palese disgusto. Ha un ruolo negativo in tutto ciò anche il carattere frivolo e decisamente sciocco di Antonina, che nelle sue conversazioni con il marito non fa altro che citare gli innumerevoli innamorati che l’hanno corteggiata in precedenza, i pettegolezzi e le liti familiari e tutto ciò che può solo annoiare a morte uno spirito libero e affamato di novità e di creatività, come quello del trentottenne Tchaikovsky.

Facile, a questo punto, predire lo scatenarsi di una psicosi da rigetto, per il semplice fatto che la presenza scomoda della moglie che non amava (e non avrebbe mai amato, definendola “vipera”) impedisce a Pëtr Il’ič di coltivare l’unico vero e unico amore della sua vita: la musica. Allora, con l’aiuto della famiglia e dei fratelli, il grande compositore sfugge all’attrazione di quella sua Luna nera domestica, alla quale in verità non aveva nascosto assolutamente nulla delle sue preferenze sessuali, coinvolgendola in ambigui festini e occasioni mondane organizzate da un notissimo “femminiello” dell’epoca. Ma, appunto, Antonina era troppo accecata dalla passione per il suo amore idealizzato per potersi accorgere dei particolari e degli evidenti messaggi inviatile da suo marito. E quando lei lo richiama al rispetto dei suoi doveri coniugali, la misura è colma per Pëtr Il’ič: lascerà la casa matrimoniale di Mosca per non farvi più ritorno.

Nonostante i ripetuti tentativi di accomodamento per un divorzio consensuale, espletati con l’aiuto di un comune conoscente, Nikolai Rubinstein, e del fratello Anatoly Tchaikovsky, Antonina non acconsentirà mai a separarsi dal marito. Né lo farà per colpa lo stesso Pëtr Il’ič, dopo che la donna avrà dato alla luce ben tre figli illegittimi (poi abbandonati in un orfanatrofio) al di fuori del matrimonio, per il timore evidente di dover portare il suo caso in tribunale e di vedersi messo sotto accusa dal grande pubblico per le sue storie di omosessualità. Malgrado le bellissime atmosfere (soprattutto le ricostruzioni di interni e degli esterni della Mosca tardo ottocentesca), il film rappresenta un vero e proprio travaso di angoscia senza tregua, perché della crescente follia di Antonina non ci viene risparmiato veramente nulla, per un periodo di tempo fin troppo lungo. Comunque, da non perdere, per capire quanto le convenzioni sociali possano demolire e nuocere agli spazi liberi del genio.

Aggiornato il 05 ottobre 2023 alle ore 17:35