Mission Cultura Italia, ma non stravolgimento

Insieme al fisco, la rivoluzione passa per la cultura. Ha dichiarato di recente il ministro Gennaro Sangiuliano: “Qualcuno pensa che il dicastero della Cultura sia solo un erogatore di risorse; invece, ha la visione di tutelare e preservare la cultura, ma anche di sviluppare la cultura della nazione”. Le linee guida entro cui si muove l’ex direttore del Tg2, accademico e scrittore, sono le seguenti: “L’Italia è una superpotenza culturale: con queste parole volevo sottolineare il tratto storico per cui la nostra nazione è il risultato di tante civiltà che si sono succedute e hanno lasciato qualcosa di costruttivo, l’Italia è la risultante di tutte queste culture. Mentre le altre nazioni europee sono caratterizzate da megalopoli, l’Italia ha una varietà di luoghi che pochi al mondo possono vantare: ognuna delle città del nostro territorio ha una sua identità e una sua costruzione, la nostra peculiarità storica va sottolineata”.

Cultura Italia, dunque. Una parte importante del nostro Pil. E in tema di cultura c’è molto da fare rispetto alle egemonie progressiste, e anche alle innovazioni e nuove vie digitali. Qualcosa di nuovo, ma non troppo. Perché la cultura italiana è senza tempo e le rivoluzioni indotte dalla cancel culture e dalle spinte gender non sempre assicurano l’universalità del prodotto e il suo essere al di sopra dei generi. A questo proposito vale la pena citare ciò che sta accadendo nel settore della lirica, dove accanto alle tradizionali produzioni di opere tra le più famose, si vanno affermando rivisitazioni del tutto scorporate dal contesto.

È il caso de “La Traviata”, l’opera di Giuseppe Verdi in cartellone per il Teatro dell’Opera di Roma alle Terme di Caracalla il 4 agosto e fino al 9, per la regia di Lorenzo Mariani, sul podio il maestro Paolo Arrivabeni con le voci della soprano Francesca Dotto (Violetta Valery), Giovanni Sala e Alessandro Scotto di Luzio (Alfredo Germont), Christopher Maltman e Marco Caria (Giorgio Germont).

Cosa è capitato alla trama scritta da Alexandre Dumas figlio? La scena è stata spostata dalle sale da ballo della Parigi Ottocento alle piazze e bar della Dolce Vita felliniana. Le crinoline e gli ampi abiti romantici (indimenticabili quelli dell’edizione firmata da Franco Zeffirelli) sono diventati tubini di raso alla Anita Ekberg, firmati da Silvia Aymonino. E la Violetta anni Sessanta si muove sul palcoscenico inseguita dai fotografi come una diva dello star system, fino a cedere come una Marilyn Monroe sopraffatta dagli eventi. Le arie sono quelle celebri, certo, ma mancano il tragico letto sostituito da una montagna di cenci, la salle de bal al cui posto trionfa una Vespa alla Gregory Peck e Audrey Hepburn di “Vacanze Romane”. Tutto ciò attirerà gli stranieri, facilitati dalla versione inglese dei sottotitoli che campeggiano ai lati dello scenografico palco, e collega i due tempi d’oro: italo-europeo il primo del Romanticismo e made in Italy quello degli anni del Neorealismo. Ma si perde il fulcro verdiano, il dramma dell’amore romantico costruito sull’impedimento e sulla malattia, la tisi che non perdonava i liberi e i più poveri. Di cosa può morire la Violetta felliniana visto che la tisi dopo la guerra fu debellata? Queste trasposizioni moderne tese a soddisfare i più giovani, i frequentatori dei social, il pubblico TikTok, gli appassionati di rock, punk e nuovi generi musicali, rischiano di esautorare il valore eterno. Il politicamente corretto, secondo alcuni critici, è una trappola da evitare. Ci sono trame che non hanno bisogno di modernità, perché esprimono caratteri e valori al di sopra delle epoche.

Lo stesso era accaduto lo scorso anno, sempre a Caracalla, con la “Carmen” di Georges Bizet per la regia dell’argentina Valentina Carrasco. Una Carmen messicana versione femminista, in cui l’azione era risultata spostata dalla Spagna del flamenco ai confini di Ciudad Juàrez, dove corre il sangue delle donne fatte scomparire e uccise. Una provocazione e un manifesto sulle ingiustizie femminili, ma in cui suonava smarrito il cuore di Carmen e la sua passione tutta sangue e arena. Non è detto che le denunce per funzionare abbiano bisogno di essere circostanziate nel tempo e ambientate nei luoghi. La cultura, diceva Cicerone, è coltivare come si fa con la terra. E Antonio Gramsci specificò la non appartenenza di classe: “E’ la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini (...) Cosicché essere colto lo può chiunque voglia”.

Abbiamo un disperato bisogno di cultura, di educazione, di forma dell’anima a guardare i profili generazionali, le decadenze, spesso la volgarità e la superficialità diffuse. Lo sforzo del governo deve andare in questa direzione per combattere l’unilateralità del messaggio ed equilibrare l’aggressione delle immigrazioni favorendo le contaminazioni e respingendo il degrado. Le innovazioni e le sperimentazioni sono l’aria fresca e il coraggio, ma che ne è di “Rigoletto” una volta spostato nella periferia romana delle Gomorre quotidiane come nel recente allestimento di Damiano Michieletto? L’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma e le direzioni si distinguono per la passione, l’impegno e la caratura musicale, ma a volte viene voglia di chiudere gli occhi e sognare il passato piuttosto che vivere il presente.

Aggiornato il 08 agosto 2023 alle ore 16:17