Scritto da Daniel Halévy nel 1939, questo saggio è dedicato alla “Storia” (nel senso della percezione) della rivoluzione, in particolare, ma non soltanto, nei pensatori francesi che si sono succeduti nel successivo secolo e mezzo (1789-1939).
Ne esce, tra l’altro, una distinzione fondamentale, condivisa da molti storici e filosofi, non solo quelli citati da Halévy. E cioè che in quella francese vi siano due rivoluzioni: la liberale del 1789 e l’altra, giacobina, del 1792. La rapida successione degli eventi storici ha così fuso insieme due catene di eventi assai differenti, il cui “nocciolo duro” era per la prima la costruzione dello Stato borghese, con i suoi principi di tutela dei diritti fondamentali e di distinzione dei poteri; per la seconda il carattere democratico dello Stato con relativa uguaglianza di partecipazione, cioè (anche) di voto degli individui, ossia dei cittadini. Determinando, così, l’ingresso delle masse nell’età contemporanea.
Tale secondo aspetto avrebbe influenzato la modernità in senso divergente dal primo: il totalitarismo del XX secolo, con la rivoluzione bolscevica e quelle nazi-fasciste sarebbe (anche) la conseguenza del giacobinismo. Come scrive Francesco Ingravalle nell’attenta introduzione: “Halévy resta, comunque, attaccato alla fase liberale della Rivoluzione (1789-1791), nettamente distinta dalla fase giacobina”. E così nel rifiuto del comunismo o del fascismo.
La Rivoluzione francese, sostiene Halévy, “è una passione da vincere, non una questione intellettuale da affrontare con l’analisi razionale. Si tratta di mostrare con quali deviazioni, passionali, psicologiche, nel XIX secolo, sia stata interpretata la crisi rivoluzionaria nel suo complesso costruendo un dogma e una leggenda che sono andati a sostituirsi alla realtà storica”. Leggenda divenuta “superstizione” nazionale. E anche conformismo: “L’Illuminismo rivoluzionario adottato e acclimatatosi grazie a una burocrazia di docenti è divenuto conformismo… l’Università, figlia ella Rivoluzione, insegna la Rivoluzione. A tutti i livelli, questo insegnamento esiste”. Confermando il giudizio di Max Weber sul carisma, la leggenda è diventata “pratica quotidiana”.
Halévy nota che la rivoluzione ha avuto (anche) effetti tutt’altro che positivi sulla Francia. A tacer d’altro, ciò ricorda quanto scriveva Charles de Gaulle nelle Mémoires: quando ri-prese il potere (nel 1958) erano 169 anni che la Francia non era governata (cioè dal 1789). Che poi siamo ancora nell’influenza della rivoluzione e del di esso culto (e dei modi per celebrarlo). Halévy lo sostiene e ne descrive dogmi e liturgie a lui contemporanee, che somigliano tanto alle attuali: per i sostenitori del culto rivoluzionario “per meritare di vivere, una società deve mettere fine al duplice scandalo delle patrie separate nell’insieme dell’umanità e delle condizioni differenti all’interno di ogni patria… Quanto ai disastri causati da una avventura rivoluzionaria, un millenarista non ne è turbato: sicuro di aver fatto il proprio dovere, accusa la malvagità degli uomini e delle cose”.
Che ci ricorda questo mix di umanità e uguaglianza? E Halévy prosegue, citando un altro predicatore della rivoluzione: “Se gli avvenimenti infirmano troppo brutalmente le nostre predizioni e puniscono la nostra orgogliosa avventura, ci consoleremo eventualmente, pensando che gli avvenimenti hanno avuto torto” Cioè le intenzioni (buone) contano più dei risultati.
In conclusione, e consigliando di leggere un saggio che merita, per concisione ed efficacia, una recensione più lunga, una breve considerazione del recensore. È un fatto che le due rivoluzioni, al di là delle conseguenze negative – allorquando l’una soffoca l’altra, fin quando si tengono in equilibrio – hanno costituito il modello di forma politica del periodo successivo. Lo Stato democratico liberale nasce dalla compresenza e dall’equilibrio di un principio di forma politica, la democrazia con i principi dello Stato borghese. Anche uno tra i più decisi sostenitori della libertà borghese e avversario del giacobinismo, come Benjamin Constant, aveva capito benissimo che per difendere questi era necessaria la forma politica della democrazia rappresentativa. Così, per avere la democrazia reale, è necessario un congruo tasso di Stato di diritto. È un mélange di principi diversi, ma una fusione di successo. L’importante è tenerli in equilibrio.
(*) Daniel Halévy, “Appunti sulla lunga rivoluzione francese”, introduzione di Francesco Ingravalle, Oaks Editrice 2023, 201 pagine, 18 euro.
Aggiornato il 12 luglio 2023 alle ore 11:22