Blaise Pascal ebbe ingegno precoce nella matematica, nella geometria, erano i tempi di Niccolò Copernico, di Galileo Galilei, di Francis Bacon, il tempo della scienza. Era nata la scienza, non che prima inesistesse, ma ora presenta metodi e diventa presuntuosissima. Il vero lo coglieva essa, esclusivamente, con un metodo sperimentale. Esperimenti, non parole. Non concezioni senza prova. Certo, i modi si differenziavano, persino contrastavano, vi era lo sperimentale. Provare per convincere. E il metodo razionale, razionalistico: se imito i processi logici della matematica, della geometria, non posso errare. Esclusivamente la scienza in tutte e due le metodologie, non soltanto presumeva di offrire il vero, ma escludeva che fuori della scienza fosse concepibile il vero. La conoscenza o era scientifica o non manteneva dignità cognitiva, era irrazionalità, sfogo di nervi. Perfino Dio usava crismi matematici. Blaise Pascal, esistesse ancora, compirebbe quattrocento anni, essendo nato il 19 giugno 1623.

Precoce, ho detto. Madre defunta anzi tempo, padre paterno e materno. Nessun conflitto, anzi, è un padre come il genitore di Siddhartha Gautama: ama il figlio, lo vuole felice, lo educa, lo fa esistere nella agiatezza. Il figlio merita queste attenzioni, è inventivo, fornisce al padre una calcolatrice, si accanisce a dimostrare l’esistenza del vuoto, inventa altre iniziative utili, nelle poste, entra in rapporti con studiosi dell’epoca, anche con René Descartes. Ha tutto, come Siddhartha Gautama, il futuro Buddha. Lo sappiamo, quando Siddhartha Gautama esce dal castello indorato nel quale lo aveva rinchiuso il padre e vede fuori morte, malattia, miseria, comprende, “sente” che la vita nel castello è falsa e diventa Buddha, colui che comprende la realtà, dolore e morte. Pascal ebbe un incidente di viaggio, a rischio di catastrofe. Da quell’istante comprende, sente che l’esistenza è un filo che le Parche recidono ogni possibile istante.

Altera visione (metanoia). Che vale la scienza se non rimedia la morte? Stravolge la percezione: la vita è breve, la morte eterna, quindi alla morte dobbiamo pensare, a risolverne l’eternità. Non li conobbe ma fu conosciuto da due ingegnose personalità: Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche. Essi ripresero capovolgendolo il medesimo criterio valutativo. Che possiamo compiere nei confronti dell’eternità? La scienza è incapace di soluzione. Se l’uomo muore, finisce, è sconfitto, un passaggio di vento tra foglie secche, un lampo che non rischiara la notte se non l’istante della folgore. E poi? Buio eterno. Pascal non ha requie, come Leopardi. Come Nietzsche, la “fine” lo piaga. Oltretutto è malsano, come Leopardi, come Nietzsche, tutto lo delude, sente la pena di vivere, il nulla della morte, cerca scampo dalla tana. Era tempo di scienza, quello, ma anche di religione, e la religione dichiarava alla scienza che non basta la scienza, un inconveniente viaggiando e tutto cessava, e precipitava. Dove, nello zeroniente? Pascal vaneggia disarmato. La scienza non soccorre i drammi del sentire. Chiusa nelle cantine dell’esperienza oggettiva non comprende che l’uomo sente, oltre che ragionare, calcolare. E sente che è unico, irreplicabile, sottomesso alla sparizione, annientabile. Non deve soffrirne, è irrazionale soffrirne? Che significa “irrazionale”? Vi sono le ragioni del sentire.

L’uomo non dovrebbe sentire? Pascal scopre la follia segreta della scienza: essa definisce irrazionale il sentire. Cerca di abolirlo. Non regge. Teme che la scienza vulneri il tratto umanissimo, connotativo dell’uomo: il sentire cosciente. Dicevo: procede i due compagni d’anima, Leopardi e Nietzsche, anche loro terrorizzati che la scienza reputasse irrazionali le ragioni del sentire. Ma disgraziatamente o no, Pascal si affida a un rimedio antico, la religione. Miracoli, profezie, fede e grazia. Scommette sull'esistenza di Dio, si volge ad Agostino, quell’altro disperato che ha bisogno di salvarsi, si accosta ai giansenisti. Chi sa, Dio lo salverà, avversa i Gesuiti, troppo mondani, la gloria di Dio in terra, Ad maiorem Dei gloriam, ma non ha il coraggio sfidante di Giacomo Leopardi: moriamo, nulla, però finché viviamo aiutiamoci e non favoriamo l’odio, la guerra, la morte, poiché basta la Natura a volere il nostro male. Leopardi non stima il Pascal credente, né lo stima Nietzsche, il quale tuttavia imita Pascal. L’eterno ritorno della vita in fondo è l’immortalità della vita come nel cristianesimo l’immortalità dell’anima. Non è il meglio di Pascal, né di Nietzsche. Ma Pascal, Leopardi, Nietzsche sono radianti nell’aver combattuto per mantenere nell’uomo il sentire, le esigenze del sentire: l’infinito, l’unicità, la non serialità, la morte per sempre o la vita eterna, l’amore, la solitudine, l’odio, e tutto ciò che è sentire, sentire, vita, non soltanto combinazioni cognitive.

Il Pascal della fede, della grazia, dei miracoli, delle profezie, della scommessa di voler credere è per i credenti, il Pascal delle esigenze esistenziali, mistero, morte, infinito, nulla è per l’umanità di ogni uomo. Per continuare a essere uomo. Credente o non credente. Fisicamente Pascal e Leopardi si somigliavano. Morirono entrambi a trentanove anni. Con Nietzsche, lo accennavo, condivisero una salute ultrasonica: spifferetti, rumorini, stomaco vulnerabilissimo, impressionabilità superstiziosa, nevrosi ossessiva, ansia, e di tutto ciò si nutrirono, intelligenza dal sentire. Avessero avuto salute senza malattia sarebbero stati guardiani notturni. Furono, sopra ogni altra manifestazione, artisti. Senza “forma” non c’è vita. Pascal spregiava il divertimento, bisogna fissare il nulla e il rimedio al nulla. Leopardi sollecitava le illusioni, ideali che ci distraessero dalla morte; Nietzsche immaginò che il Superuomo non avrebbe pensato né la morte, né la colpa, né la pietà, un tuttovita assoluto. A loro modo, una trinità. Avvinti dall’infinito, Pascal lo trova in Dio, Leopardi nel Nulla, Nietzsche nell’eterno ritorno. Quattrocento anni fa, è nato Blaise Pascal.

Aggiornato il 20 giugno 2023 alle ore 12:25