Le otto montagne firmato dai cineasti belgi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch è film che crea attese e prontamente le delude. La pellicola, distribuita nelle sale italiane da Vision Distribution e visibile in streaming su Prime Video, è il film più sopravvalutato della stagione. Il lungometraggio, tratto dall’omonimo romanzo Premio Strega 2017 di Paolo Cognetti, sceneggiato dagli stessi registi, ha vinto il Premio della giuria al 75º Festival di Cannes 2022 e quattro David di Donatello 2023: Miglior film; Migliore sceneggiatura adattata; Migliore autore della fotografia a Ruben Impens; Miglior suono ad Alessandro Palmerini, Alessandro Feletti e Marco Falloni.
Il film è un racconto d’amicizia che resiste al tempo, alle incomprensioni e al dolore. Una storia di padri e figli che non si comprendono, di madri comprensive, di donne forti. Pietro, dodicenne torinese, figlio di un ingegnere e di un’insegnante, trascorre l’estate a Grana, un paese della Valle d’Aosta. Incontra Bruno, un coetaneo cresciuto tra quelle montagne. Le differenze tra i due sono evidenti, ma si costruisce un’amicizia sincera che li accompagna per tutta la vita. Pietro, nonostante mutui dal padre la passione per l’alpinismo, durante la giovinezza si allontana dalla famiglia. D’altro canto, Bruno si avvicina sempre di più al padre e alla madre dell’amico. Anche se, in fondo, la sua libertà si traduce nella solitudine tra i monti. Se il primo deciderà di diventare uno scrittore, il secondo proverà a mettere in piedi una fattoria che produce formaggio secondo il metodo tradizionale.
Il centro del film, che prende il via dalla storia di amicizia, in realtà riguarda, soprattutto due temi: il recupero, a posteriori, del rapporto di Pietro con il padre e la scelta del futuro professionale e sentimentale dei due personaggi principali. Il lungometraggio è governato dalle interpretazioni misurate di Luca Marinelli (Pietro) e Alessandro Borghi (Bruno). Del cast fanno parte anche gli eccellenti Filippo Timi e Elena Lietti nei ruoli dei genitori di Pietro. Ma, a parte la direzione degli attori, Le otto montagne è un’opera pluripremiata dalle straordinarie ambizioni narrative che, in realtà, si rivela un mero azzardo registico. La pellicola non convince soprattutto per l’aspetto che i due autori ritengono dirimente: la messa in scena. L’idea di Van Groeningen e Vandermeersch è quella di rispettare la montagna.
Per cui bisogna guardare il film “in verticale”. Da qui, la scelta del formato dello schermo a 4:3. Una decisione che lascia, comunque, perplessi. Anche perché la montagna, dalle Alpi della Valle d’Aosta all’Himalaya, appare piatta. Tutto è identico. Ogni scorcio è uguale all’altro. La banalità estetica è disarmante. La fotografia del paesaggio è una raccolta di cartoline. Lo stile è fortemente televisivo. I personaggi sembrano muoversi in un unico labirinto montuoso. Non c’è vero amore. La narrazione è freddamente letteraria. Nessun approdo realistico. È un film dalle aspirazioni contemplative che suggerisce poca contemplazione. I dialoghi elementari confliggono con la debordante voce fuori campo in cui Marinelli commenta, analizza, spiega. Cerca di supplire a ciò che risulta distaccato nella visione. Infine, le numerose ellissi temporali non consentono ai personaggi di compiere scelte naturali e comprensibili. Un’occasione mancata travestita da cinema d’autore.
Aggiornato il 09 giugno 2023 alle ore 13:24