Tornare a Orvieto, visitare il Duomo e farsi rapire dalla magnificenza della Cappella di San Brizio è un po’ come omaggiare Jorge Luis Borges, dando così corpo a quella sua massima legata alla capacità che ha la meraviglia di farsi spazio tra la consuetudine del vivere. Questo luogo è qualcosa in più di una raffigurazione pittorica sublime e dai colori cangianti. È una porta che proietta l’uomo verso una dimensione metafisica, fino a quel momento storico percepita soltanto mediante la preghiera e immaginata solamente tramite la Commedia dantesca; è un pertugio artistico aperto verso un futuro remotissimo impreziosito, per di più, da venature messianiche; sono le prove generali di un Rinascimento che sarebbe poi esploso in un’altra cappella e con un altro giudizio universale.
L’arte, si sa, è sempre contemporanea, tant’è che Piet Mondrian non sarebbe stato tale senza l’apporto di Piero della Francesca e, magari, Lucio Fontana prese ispirazione, per i suo famosi tagli, proprio dai panneggi tratteggiati da Antonello da Messina. E così, seguendo un filo logico incline al parossismo, osservando demoni e creature siderali, scovando raggi di luce e stelle taglienti come tanti piccoli dardi infuocati, d’un tratto non pare nemmeno così provocatorio pensare che da questo scrigno della storia dell’arte non solo il Buonarroti carpì delle innovazioni ch’egli stesso avrebbe poi consacrato a Roma, tra il tormento e l’estasi; non solo Sigmund Freud colse lo spunto per una teoria psicanalitica, ma, sul piano della provocazione, probabile pure che il pittore Luca Signorelli abbia illuminato la strada del fumettista giapponese Go Nagai poiché certi mostri meccanici hanno un non so che di somigliante a delle creature dannate dipinte in Umbria tra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento.
Aggiornato il 06 giugno 2023 alle ore 13:01