Visioni: “Air”, un convincente film d’impianto classico

Air - La storia del grande salto è un film che racconta una storia di successo. Tipicamente a stelle e strisce. Il lungometraggio diretto e interpretato da Ben Affleck, campione d’incassi in Italia e negli Stati Uniti, prodotto da Amazon Studios, Mandalay Pictures, Skydance Media, distribuito in sala dal 6 aprile da Warner Bros. e Prime Video, dal 12 maggio è visibile sulla piattaforma in streaming. Il film, scritto da Alex Convery, narra le vicende di un visionario, Sonny Vaccaro (un sicuro Matt Damon), un talent scout che, nel 1984, lavora per la divisione basket della Nike. Il suo obiettivo è mettere sotto contratto il più grande protagonista della storia dell’Nba, allora appena 21enne: Michael Jordan.

Ma la strada verso l’accordo inizialmente appare proibitiva. Anche perché i marchi più in voga nei primi anni Ottanta sono Converse e Adidas. L’unico modo per convincere il campione ad accettare la proposta della Nike è offrire il massimo possibile in termini economici (250mila dollari annui e una percentuale sulle vendite) e, soprattutto, creare una linea dedicata al giocatore: le Air Jordan. Le scarpe che hanno cambiato il mondo delle calzature, non soltanto quelle sportive. Il cestista non è ancora il punto di riferimento dei Chicago Bulls, eppure Vaccaro decide di puntarvi tutte le sue carte. “Una scarpa è solo una scarpa, fino a quando non la mette mio figlio”, dice Deloris Jordan (una magnetica Viola Davis, scelta dal campione in persona), madre del giocatore. Nonostante il logorroico agente di Michael sia David Falk (un Chris Messina sopra le righe), è la donna a guidare direttamente le trattative. E anche se il fondatore della Nike Phil Knight (Ben Affleck stesso) ripeta continuamente che l’azienda nasce come simbolo delle scarpe da corsa, Vaccaro non demorde, vuole Jordan a tutti i costi.

Ben Affleck torna dietro la macchina da presa dopo i tre Oscar vinti nel 2013 per Argo (Miglior film, Miglior sceneggiatura non originale a Chris Terrio, Miglior montaggio a William Goldenberg) e il passo falso legato al noir La legge della notte (Live by Night) del 2016. Il copione di Air firmato da Convery racconta i reaganiani anni Ottante in maniera molto puntuale. Michael Jordan appare come una figura mitologica. Non lo vediamo mai direttamente in volto. Quasi tutte le scene del film sono ambientate in interni. Per queste ragioni, il lungometraggio ha un inevitabile passo teatrale. Ma non è un difetto. Perché il film, pieno dialoghi memorabili, è puro cinema. Carico di suspense, con qualche punta di retorica, ma di una straordinaria umanità. È un film soprattutto di confronti e di duetti. Quelli tra Damon e Davis sono interpretati con grande partecipazione. I due giocano una partita la cui posta non riguarda solo il futuro di Michael Jordan, ma le prospettive della comunità afroamericana. Come The Founder di John Lee Hancock (2016) che racconta l’acquisizione e il lancio dei fast food McDonald’s, Air è l’ennesima storia americana, il Paese del mito del “self made man”. Un fatto è evidente: il ritmo della scrittura e il cast d’interpreti sono gli elementi più significativi del film. Tra le altre prove d’attore si segnalano anche quelle dello spumeggiante Chris Tucker, che dà il volto ad Howard White, vicepresidente relazioni con i giocatori di basket; e dell’intimista Jason Bateman, che interpreta Rob Strasser, il vicepresidente marketing di basket. Air non sorprende per la novità dell’approccio narrativo, né per la visione del mondo che veicola. Ma è un convincente e avvincente racconto d’impianto classico. E questo basta per giudicarlo come un buon film.

Aggiornato il 19 maggio 2023 alle ore 20:06