Si può sposare un demone sapendolo tale? Se si chiama Riccardo il deforme, il laido (interpretato da un bravo e istrionico Paolo Pietrobon), fratello malefico di Edoardo IV, allora secondo Shakespeare tutto può accadere. Tanto più che, lui, il duca di Gloucester, non conosce la pietà perché “non è un animale”, come gli fa dire il suo autore. L’opera Riccardo III va attualmente in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 21 maggio, per la regia di Kriszta Székely, e è una rivisitazione in chiave moderna del dramma shakespeariano. Poiché si tratta del discorso (feroce) sul Potere che vive solo di e per se stesso, allora non conta l’abito ma il costume mentale di chi lo indossa. Cortigiani, ciambellani, nobili di rango, decaduti o rampanti, hanno in ogni epoca lo stesso habitus mentale: amanti del complotto; vigliacchi quanto basta per spiegare le vele quando spira il vento giusto, per cui le vedove e madri che hanno perso i figli per ordine del principe mandatario si sposano il loro assassino, pur di mantenere casato e regno.
Così, la rappresentazione scenica diviene un luogo cimiteriale in permanenza, con le sacche nere dei cadaveri che si impilano senza sosta nell’angolo sinistro del palcoscenico, e ogni volta le matrone piene di odio scagliano le profezie di sventura e le loro maledizioni per il sangue versato dei loro congiunti contro quell’essere deviante. Lui, Riccardo, capace di mettere fratello contro fratello, facendo credere a entrambi di porre il loro bene al di sopra di ogni cosa, ma con l’unico intento di fare definitivamente spazio alla corsa per la corona nell’unico modo possibile: mandandoli a morte.
Perché l’innominabile mestiere del boia è la cosa gustosa che eccita la mente di colui che solo in battaglia ritrova se stesso, nel miraggio della riconquista del regno, mentre l’ozio della pace e il riposo del guerriero lo annoiano e lo disgustano, non avendo l’odore e il sapore del sangue, ma delle cose lascive. E le donne sono la persecuzione, il miraggio e la condanna di chi usa il potere della regina per farsi nobile e ricco: una sorta di ascensore sociale per scendere e salire nella considerazione del re. Si costruiscono false prove per peculato al fine di togliere di mezzo figure di potere che parlano al re, ma fanno ombra alla regina e al suo clan, che ha altri galantuomini da piazzare al loro posto. Una giostra delle vanità, in pratica, in cui gli affari di Stato sono costantemente ai margini dei complotti e delle rese di conti tra casati, perché il popolo è un’entità evanescente e insignificante, buono solo come carne da cannone o per lo schiavismo del latifondo.
Il piano di Riccardo è, a suo modo, un modello di perfezione perché il Male sa d’istinto pizzicare le corde sbagliate che sono nella testa di ciascun individuo, pedone, fante, alfiere, torre o cavallo che egli sia: tutti schierati a difendere la regina e il re dei bianchi contro i loro pari grado, neri come il buio della notte. Grazie all’abilità e alla diabolica capacità di Riccardo di saper convincere, anche l’infanticidio del principe ereditario e del suo fratellino trova un sicario pronto a pugnalare ed estinguere vite totalmente innocenti.
Perfino la madre che lo ha partorito ne ha orrore, come la sua nuova moglie resa ebete e insonne per essere stata costretta alle nozze con l’assassino di suo marito e di suo padre. Le dinastie sono infilzate come accade agli uomini incatenati in fila indiana, quando un solo proiettile alla nuca del capofila basta a perforare altre cinque teste, risparmiando ironicamente sul piombo. Per afferrare la corona non c’è nulla di meglio che fare finta di rifiutarla, dopo aver truccato le carte per impedire l’incoronazione del primogenito di Edoardo IV, facendo passare i suoi figli come illegittimi. Sorprende sempre, per la verità, quando un piano diabolico viene a maturazione e ha successo, per la stupidità degli uomini, per la disonestà di molti altri che quelle carte hanno pensato e confezionato, diffondendo i venti di calunnia nei posti giusti, nel Sinedrio-Senato affinché la gigantesca menzogna divenisse l’unica verità possibile.
L’arte sublime del circuire, corrompere, deviare è la ragione di vita di re Riccardo il quale, al fine, sembra non avere alcuna pietà nemmeno di se stesso: vuole fare orrore e paura e ci riesce alla perfezione. Come Faust, compra e vende anime grazie a mirabolanti promesse che non verranno mantenute. Finché sarà una delle tante regine rese vedove ed esiliate a trovare la strada della vendetta e del regicidio dell’infame usurpatore. Quella di Kriszta Székely è una rivisitazione che andrebbe depurata da simboli esageratamente estranei, come telefoni cellulari, riferimenti a Suv che si ribaltano e revolver che prendono il posto dello stiletto e del pugnale da gamba.
Aggiornato il 18 maggio 2023 alle ore 11:21