La stranezza di Roberto Andò è un film metanarrativo nella forma e nel contenuto. Il lungometraggio del regista palermitano, dedicato “a Leonardo Sciascia, con gratitudine”, racconta la genesi dei Sei personaggi in cerca d’autore, il capolavoro teatrale di Luigi Pirandello. Nel corso della narrazione viene celebrato anche Giovanni Verga. Così Andò, raffinato intellettuale, cineasta e autore mette idealmente a confronto tre scrittori, tre grandi siciliani, tre diverse visioni del mondo. Il film uscito in sala lo scorso ottobre, dopo la proiezione nella sezione Gran Public della Festa del cinema di Roma, ha conquistato quattro David di Donatello: miglior sceneggiatura originale (firmata dal regista insieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso), produzione, scenografia e costumi. Prodotto da Attilio De Razza e Angelo Barbagallo per BiBi Film, Tramp Limited, con Medusa Film e Rai Cinema, in collaborazione con Prime Video, La stranezza è un omaggio alla creazione artistica.
La storia è ambientata nella Sicilia del 1920. Pirandello (Toni Servillo), che arriva a Catania da Roma, omaggia Verga, in occasione dell’ottantesimo compleanno dello scrittore verista. Giunto nella sua Girgenti (vecchia denominazione di Agrigento), Pirandello apprende la notizia della morte dell’amata balia Maria Stella (Aurora Quattrocchi). Lo scrittore decide di occuparsi delle spese funebri. Per queste ragioni, incontra due becchini, Onofrio “Nofrio” Principato (Valentino Picone) e Sebastiano “Bastiano” Vella (Salvatore Ficarra), due attori amatoriali. Pirandello è costretto a confrontarsi con i meandri della corruzione degli addetti al cimitero. Intanto, l’autore è ossessionato dai personaggi del nuovo testo e incuriosito dai due teatranti. Pirandello assiste segretamente alle prove della loro nuova farsa, La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu, uno spettacolo che coinvolge numerosi aspiranti attori di tutte le età. Al debutto, è presente l’intero paese. Lo scrittore assiste in incognito. Ma nel corso della rappresentazione accade un imprevisto che sconvolge la messa in scena. Dal comico si passa rapidamente al tragico. Il pubblico in sala interagisce nervosamente con gli attori sulla ribalta. Ne nasce un vero e proprio scontro verbale. L’evento turba Pirandello. Forse ha trovato la chiave per strutturare il suo nuovo dramma.
La “stranezza” del titolo è quella che assale durante le notti di Luna piena, ma è anche il sentimento di straniamento che si fa strada lungo l’intero film. Roberto Andò dà forma narrativa all’atto creativo attraverso la descrizione del basso e dell’alto. Del teatro dialettale che si misura con il teatro d’autore. Degli attori dilettanti che imitano i professionisti. Il tema del confronto è affascinante, persino lodevole, ma purtroppo viene affrontato solo in superficie. La macchina da presa inquadra luoghi bui e stretti: palcoscenici, vicoli, case, treni, carrozze, automobili. Un universo chiuso che cerca una via d’uscita, ma non la trova. Il teatro delle maschere e quello della vita reale si confondono. Ciascuno interpreta malvolentieri il ruolo che la società gli ha assegnato. La sorella di Bastiano, Santina (Giulia Andò, figlia del regista), deve stare chiusa in casa tutto il giorno a causa della gelosia del fratello; Calogero Interrante (Tuccio Musumeci), costretto su una sedia a rotelle e chiuso nel suo mutismo, sbarra sempre il corridoio al genero Nofrio. I dilemmi pirandelliani sulla finzione e la realtà, i sogni e le atmosfere rarefatte suonano solo come un pretesto per mostrare le scaramucce farsesche di Ficarra e Picone. E se la prova di Toni Servillo è rigorosa, quasi silente, quella dei due comici palermitani si segnala per la spavalda irriverenza. La loro ironia paesana è sempre sopra le righe. Pericolosamente caricaturale. È un vero peccato. Perché quel che resta, dopo la visione del film, è un inevitabile senso di incompiutezza.
Aggiornato il 12 maggio 2023 alle ore 18:35