Ambientata nella Parigi degli anni Trenta, in un continuo gioco di scatole cinesi con colpi di scena dove vero e falso si confondono, l’ultimo film del prolifico François Ozon (22 film, in 25 anni) Mon crime - La colpevole sono io, coralmente interpretato da Nadia Tereszkiewicz, Rebecca Marder, Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, Dany Boon e André Dussollier, è un libero adattamento di una “pochade” di successo scritta nel 1934 da Georges Berr e Louis Verneuil, opera teatrale che ha già visto una traslazione filmica, con La moglie bugiarda (1937) di Wesley Ruggles, con Carole Lombard. La giovane attrice, bella, squattrinata ed in cerca di successo, Madeleine Verdier (Nadia Tereszkiewicz) fugge dalla casa di un importante produttore, che aveva cercato di abusare di lei.
Madelaine racconta quanto le era accaduto all’amica e coinquilina Pauline Mauléon (Rebecca Marder), avvocatessa alle prime armi, che, grazie a un escamotage l’aiuterà, in quanto, nel frattempo, sulla base di indagini superficiali e un “teorema” del giudice viene accusata dell’assassinio del produttore. In un contesto dove, parallelamente, si susseguono anche equivoci con il suo fidanzato, Madeleine, consigliata da Pauline, decide di confessare, invocando quindi la legittima difesa, per tentare spregiudicatamente di ottenere la celebrità sfruttando il tribunale come una ribalta e denunciare. Madeleine viene assolta e, con l’assoluzione, arriva anche il successo tanto desiderato. Ma, improvvisamente, un altro colpo di scena sembra mandare tutto in fumo quando irrompe una celebre attrice dell’epoca del muto, ormai completamente dimenticata, Odette Chaumette (Isabelle Huppert), che, nella speranza di tornare alla ribalta, rivendica il delitto e accusa Madeleine di averle “rubato” il suo crimine.
Nell’intreccio ingarbugliato di questa commedia in giallo, brillante e satirica, dove la composizione delle scene è sempre elegante e, spesso, anche sofisticata, la vis comica non è mai fine a se stessa, ma è il veicolo per toccare temi attuali e delicati quali la condizione femminile e le molestie sessuali, le indagini taroccate e gli errori giudiziari. Il susseguirsi vertiginoso e contraddittorio dei fatti è raccontato in modo incisivo riprendendo gli stilemi teatrali della “pochade”, senza però mai negare le esigenze estetiche del cinema. Ma un altro merito di François Ozon è aver saputo rappresentare le diverse versioni dei fatti, che, di volta in volta, emergono nel corso del film, attraverso un evidente omaggio al cinema muto. Il regista introduce dei flashback in bianco e nero con una sovrailluminazione utile a ridarci le medesime sensazioni ottiche, e, soprattutto, la medesima luce, delle prime pellicole, inimmaginabile con il sistema digitale. François Ozon ha realizzato questa commedia con una messa in scena originale, alla ricerca di un linguaggio innovativo. Un esperimento certamente riuscito che fa di Mon crime un film unico nel suo genere.
Aggiornato il 02 maggio 2023 alle ore 13:32