Una big band di sette elementi ha trasformato la Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma in una indimenticabile serata tra amici grazie alle ironiche atmosfere swing, jazz e blues di quei gioielli di musica che sono le canzoni di Sergio Caputo. La capacità di “dipingere” storie in cui è facile ritrovare frammenti della propria vita, grazie a quella funambolica dialettica che gli è propria e che ti rimane dentro, ha fatto sì che Un sabato italiano abbia passato indenne il tempo e le mode rendendolo semmai ancora più intrigante proprio come un whiskey di (questa volta) ottima qualità, tanto da farlo rientrare al 37esimo posto dei migliori cento album italiani di sempre nella classifica di Rolling Stone Italia.
“Quanti erano già nati quando è uscito il disco?” chiede Caputo in apertura. Io avevo quindici anni e la fortuna di avere dei genitori che masticavano ottima musica. Resa pigra dal non poter avere continui stimoli musicali esterni vista la tecnologia dei primi anni Ottanta, e per il fatto di essere una tranquilla secchiona del Liceo classico, rimanevo comoda nel gratificante mondo che girava sul piatto di casa: Paolo Conte, Giorgio Gaber, Jackson Browne, Beatles solo per dirne alcuni.
Ma i tempi erano maturi per diventare una consumatrice attiva e Sergio Caputo sicuramente si prende parte del merito, perché non ricordo il momento esatto in cui è entrato nella mia vita ma so che le parole della canzone erano Citrosodina granulare e quindi si tratta di un ricordo antico, visto che sembra vi siano in giro solamente cinquemila copie dell’album con quelle parole stampate, poiché venne ritirato dopo che la casa farmaceutica dei noti granelli fece sottintendere un’eventuale penale stratosferica per l’utilizzo del nome, senza la specifica “è un medicinale, leggere attentamente le avvertenze e le modalità d’uso”. Quindi via il disco dai negozi, via i disegnini del barattolo dal tappo giallo e lunga vita a Idrofobina vegetale… per inciso non credo vi sia al mondo un solo fan che intoni l’ormai Bimba se sapessi nella sua versione edulcorata. E d’altronde Caputo stesso l’ha cantata così come è nata.
C’era tutto ieri, tutto l’album Un sabato italiano con i gatti che svaniscono leggeri nella notte radioattiva e il tayeurino giallo senape ma c’erano anche un sogno chic in pompa magna e tacchi a spillo e le demoni-torpedini, c’erano le donne intonacate di strass e tanti altri fotogrammi resi vividi dalla verve di Caputo, cantastorie sostenuto dalle impeccabili performance di Fabiola Torresi (basso e voce), Alessandro Marzi (batteria e voce), Paolo Vianello (piano), Alberto Vianello (sax), Gianfranco Campagnola (tromba) e Lorenzo De Luca (sax alto).
Sul palco Sergio si diverte, gioca, scherza, condivide ricordi e aneddoti. È emozionato e sembra a tratti stupefatto di tanto affetto verso il suo disco e verso di lui. Il pubblico canta tutte le canzoni, applaude, lo chiama e richiama a gran voce anche quando si accendono le luci dopo l’ultimo bis. Ma purtroppo il tempo concesso dall’Auditorium non basta per andare magari a caccia di umoristi lungo i boulevard o rincorrere in pigiama le chimere del Jazz ma ognuno ha la propria caputiana compilation del cuore e la domanda “chissà se questa la farà?” fa parte del gioco. Però quella che Sergio ci ha dedicato ieri è stata unica e seduttiva come ogni compilation che vuole colpire dovrebbe essere.
Torna presto a Roma, Sergio, che i nostri cuori piangono al ritmo del bongo.
Aggiornato il 27 aprile 2023 alle ore 12:56