Viene edito il fascicolo della Rivista di studi politici internazionali, giornale con diffusione mondiale e una consolidata tradizione di serietà informativa al di sopra di ogni attualismo vociferato, ma comunque immessa nella storia, passata, presente e prospettica. Fondata da Giuseppe Vedovato, la dirige ormai da decenni Maria Grazia Melchionni, con amichevole severità. Un testo di apertura riguarda le memorie diaristiche di Carlo Sforza, ministro degli Esteri negli anni della scelta europea e atlantica dell’Italia. Il testo va dal gennaio al settembre 1952. Un’introduzione di Maria Grazia Melchionni motiva la decisione aggiungere al Diario di Carlo Sforza le note della consorte. Una Nota critica di Giampaolo Maugeri arricchisce il Diario. Esso riguarda il periodo della fine della Guerra mondiale e traccia il tentativo, riuscito, di inserire il nostro Paese in ben altre aree, e ridare posto e dignità internazionale, una collocazione rassicurante, anche se il prosieguo della vicenda al di là del periodo di Sforza svelerà la complessità di questa collocazione soprattutto nel momento in cui si decide un’Europa unita , con difficoltà interne ed esterne all’Europa, velleità di affrancamento dagli Stati Uniti o di più radicale connessione. E problematiche, attualissime, se l’Occidente deve o meno costituire un blocco che espelle, per dire, Russia e Cina dal proprio orizzonte relazionale. Temi odierni che procedono oltre il Diario di Sforza, documento testimoniale d’altri tempi ma che è insostituibile anche per i nostri tempi.
Un ulteriore saggio, di James Dingely, tratta del terrorismo in Irlanda, anni Venti-anni Quaranta. È precisata la diversità tra Irlanda del Nord, protestante e industriale, e Irlanda del sud, cattolica e terriera. La dissonanza implica non soltanto i rapporti tra nord e sud dell’Irlanda ma anche i rapporti con l’Inghilterra, legata al protestantesimo del Nord e ovviamente alla industrializzazione. E persino i rapporti verso l’Italia Risorgimentale. La parte protestante è anticattolica, antipapista e favorisce il Risorgimento, mentre la parte cattolica favorisce il papato ed il Regno pontificio. Interessante un aspetto dell’analisi, l’idea che l’Irlanda sia stata dominata, soggiogata dall’Inghilterra nei secoli e secoli divenuta idea trainante del terrorismo irlandese e che l’Autore espone in modo dubitativo.
Attuale, rappresentativo di quel che sta accadendo e accadrà: la Cina. Un atteggiamento avversativo nei confronti della Cina, potenziata da una decisione proprio dell’Occidente. È stato l’Occidente addirittura a spingere l’esclusione di Taiwan come rappresentante cinese al Fondo monetario internazionale, la Repubblica Popolare Cinese ha sostituito Taiwan nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, a non dire i capitali che la Cina utilizzò (ed utilizza) non soltanto a vantaggio dei capitali occidentali. Certo, vi era il tentativo fallitissimo, a quanto pare, di opporre la Cina alla Russia e di utilizzare all’infinito la Cina come sicuro luogo dei capitali occidentali. Al presente, invece, il potenziamento di quel Paese da locale, regionale, è assurto a globale, difficilissimo tornare indietro. Forse si credeva di rendere la Cina un membro docile sottomesso utile all’Occidente, antisovietico, antirusso. Di sicuro sostituire Taiwan con la Repubblica popolare cinese non ha dimostrato una difesa della libertà. Si riteneva che la Cina comunista avrebbe favorito i capitali occidentali, ripeto, ed è vero, ma favorisce anche se stessa, e il dilemma è sotto i nostri sguardi, drammaticissimo. Che fare? Ne scrive Mathilde Massa.
La Russia che si amplia in Africa è un pericolo per l’Europa e non solo per l’Europa? Emanuela Del Re considera l’evenienza in specie con riguardo alla disinformazione. L’Europa specificamente che ha in Africa interessi essenziali da difendere contrasta la Russia. Sempre sulla Russia un testo che vaglia il nazionalismo, precisamente il “nazionalismo patriottico”. L’autore, Thomas Delattre, connette l’educazione nazionalpatriottica allo Stato autoritario, al centralismo dello Stato in Russia. È un argomento che merita, meriterebbe valutazione da parte occidentale. Noi critichiamo l’autoritarismo, in realtà come dimostra il testo, anche se lo dimostra criticamente, l’autoritarismo russo è la maniera con cui si attua il nazional patriottismo, l’idea di una nazione unita che rende la difesa nazionale e religiosa l’essenza della propria esistenza, sotto le insegne di un capo, eroe della nazione. Unità che è sia nella società sia unità del potere in pugno ad un capo. Nella storia della Russia rarissimi i momenti liberali e individualisti. Ed i pensatori liberali ed individualisti. Occorrerebbe considerare la storia dei popoli per giudicare i popoli. La libertà in Russia è una libertà all’interno dell’Unità. Una questione da considerare.
Interessante, una curiosità, il testo di Orazio Maria Gnerre sull’importanza del treno e il valore simbolico del treno come segno concreto di democrazia, di libertà, di socialismo: i viaggi, il collegamento, è noto che l’italiano Giosuè Carducci considerò il treno il mezzo dell’avvenire per eccellenza, lo strumento tecnologico, l’invenzione progressista di un uomo affrancato dalla religione, operativo nel mondo. Il testo si riferisce specialmente alla Cina, bisogna dire che per i grandi Paesi Il treno è il mezzo di comunicazione perfino superiore all’aereo anche oggi, masse appiccicate ai vagoni, ad esempio in India e nei paesi popolatissimi e poveri. Un ultimo saggio, di Kirill Terentiev, tratta della politica del fascismo nei confronti degli ebrei che, è nato, si accentua avversativamente nel periodo in cui il Fascismo si accosta al nazismo e si perviene all’abominio del razzismo e perfino ai ghetti, da parte dello Stato. Ai saggi seguono rubriche, articoli. Segnalo la commemorazione dell’ambasciatore Giorgio Bosco, ne scriviamo Adriano Benedetti ed io. Giorgio Bosco fu innanzitutto un amico, signorile, dialogante, con voglia di sapere, curioso ben oltre il Diritto in cui esercitò la carriera diplomatica e di docente.
Ci conoscevamo da decenni, insieme partecipammo a convegni nazionali ed internazionali ai tempi in cui Armando Verdiglione li proponeva ovunque. Più recentemente ci frequentavamo anche perché collaboravo alla Rivista di studi politici internazionali e la presenza di Maria Grazia Melchionni faceva da tramite. Conosceva i rischi della nostra epoca ma voleva essere favorevole alle sorti migliori. La sua voce felice negli incontri e nella disposizione a rivederci non la dimenticheremo. Di Giorgio Bosco sono pubblicate recensioni. Così anche di Chiara D’Auria e di Giuseppe Sanzotta, che scrive del mio libro: Ho vissuto la vita, Ho vissuto la morte (Armando Editore). Sanzotta, direttore de Il Borghese già direttore del Tempo analizza il mio testo sia negli incontri con gli intellettuali nella mia giovinezza (Moravia, Pasolini, Carlo Levi, Guttuso, De Chirico, Sciascia, Luzi, Pratolini, Elsa Morante, Anna Magnani ed altri) sia nella narrazione della mia malattia, l’infezione virale recente. E ne trae, legittimamente, un certo senso indicativo. Negli anni 60-70 vi era la prospettiva positiva del futuro, vi era un futuro, laddove oggi, tra malattia e guerra, il futuro è un incubo o, per così dire: non c’è futuro. Non era nella mia volontà dare questo senso al libro, ma l’interpretazione di Sanzotta è realistica, il testo rappresenta non soltanto la mia biografia ma il percorso della vicenda collettiva, effettivamente questa è la appropriata maniera di leggere il testo, una autobiografia che diventa storia sociale.
Ne ebbi conferma nelle presentazioni che sto facendo, tra le quali è coinvolto Giuseppe Sanzotta, mentre a Rieti recentemente fu coinvolta una compagnia teatrale locale, Pipistrello. Nela Libreria Moderna, piccola, elegante, all’antica, gli attori, diretti da Massimo De Iuliis, hanno recitato leggendo brani sparsi del libro, poesie, prose, spezzoni teatrali, con apparente frantumazione non conseguenziale. Invece accadeva l’opposto, davano la comicità, la disarmonia, la drammaticità affastellata, un crescendo che proponeva quel senso di inoltrarci nel marasma di cui dice Sanzotta. È così. Precisamente: da questo incubo dell’inabissamento sorge la volontà di contrastarla, amando maggiormente la vita. Eccellente la “trovata” di fare ripetere con un vocio insistente: “Ho vissuto la vita. Ho vissuto la morte”, un vocio tra il magico, lo streghesco, il sortilegio propiziatorio. Anna Maria Magi ha condotto lo spettacolo, Massimo De Iuliis lo ha diretto nella regia, Cristina Ficrilli, Marc Di Pietro, Matilde Stocco, Paola Simeni lo hanno interpretato espressivamente, con diversità vocali significative. Ma all’evento si è congiunto un evento un evento accrescitivo. Nella sala, gremitissima, vi erano miei studenti dell’epoca, oltre cinquanta anni passati, io, giovane, insegnavo a Rieti, al poderoso Liceo classico “Marco Terenzio Varrone”. Straordinario ricordare e non ricordare, volti conosciuti, non riconoscibili, riconosciuti, episodi, taluni li avevo rivisti, Antonio Cicchetti, per due volte sindaco della Città, Massimo De Iuliis che aveva posto in scena bene un mio testo al Teatro Vespasiano e metterà in scena i testi del mio recente libro. Più di cinquanta anni di senza vederci, eppure non ci siamo dimenticati. Non abbiamo dimenticato il rapporto umano e culturale del passato. Se risorgeremo, dicevo nella serata, lo dovremo all’arte, alla cultura, ai rapporti umani significativi, carichi di umanità. Se poniamo al sommo del vivere i rapporti umani tra esseri umani, artistici, culturali daremo minor rilievo a piccole mete che causano morte, inimicizia. Il valore dell’arte, della conoscenza, dei rapporti umani è troppo alto per disperderli sacrificandoli alla inimicizia ed alla morte. Giustamente è stato detto (Freud) che se l’aggressività venisse sublimata avremmo civiltà invece di catastrofi in gara micidiale a chi ne suscita rovinosissime.
Aggiornato il 03 marzo 2023 alle ore 12:24