Vivian Maier nasce il 1° febbraio 1926 a New York. La madre è francese e il padre austriaco. Vive la sua giovinezza in Francia. La sua infanzia è difficile. Il padre è un alcolista, la madre incapace di dare affetto, il fratello drogato. Riceve affetto dalla nonna materna, la francese Eugenie Jaussaud. Il suo rigido anonimato le evita di far conoscere il suo passato. È consapevole che, con un trascorso simile, nessuna famiglia le avrebbe affidato i propri figli. Svolge il gradito lavoro di bambinaia per circa quaranta anni. Per lei questo lavoro riservato è stato anche un rifugio psicologico e una protezione. Gran parte del suo tempo libero lo impiega a scattare fotografie. Inizia con una Kodak Brownie. È totalmente autodidatta. Ha lasciato un vertiginoso itinerario raccolto in oltre centoquarantatremila negativi riuniti dentro una gran quantità di rullini conservati in varie scatole. Questo tesoro nel 2007 viene acquistato all’asta per quattrocento dollari dall’agente immobiliare John Maloof, scrittore e “street photographer” americano e curatore della storia locale del Northwest Side di Chicago. L’importo andò a coprire il mancato pagamento dell’affitto del box dove conservava tutti i suoi rullini. Maloof si rende conto di aver comprato un valore inestimabile e inizia ad indagare sulla misteriosa autrice bambinaia. Le immagini stampate non hanno superato il 5 per cento.
Osservando l’evoluzione delle sue ricerche e dei soggetti fotografati, si è notato come Vivian abbia studiato metodicamente e a lungo per affinare la sua tecnica. Si smentisce così la leggenda della dilettante assoluta. Con la sua Rolleiflex quadrata, sempre appesa al collo, continua a catturare migliaia di “attimi” senza farne una stampa. Utilizza anche macchine Leica, come è visibile in alcuni suoi filmati e autoritratti. Studia numerosi manuali. Impara in fretta. Sviluppa la tecnica degli appostamenti per catturare momenti con la luce giusta, con precise angolazioni. Fotografa molto i bambini di cui ha cura, ma la strada è in gran parte il suo palcoscenico. I bambini e gli svantaggiati sono il suo tema preferito.
Fissa i volti delle persone, la loro mancanza di speranza, coglie gesti fugaci. Ritrae i poli opposti delle esistenze, dalla ricchezza alla povertà estrema. Con lei, i poveri mostrano una silenziosa e profonda dignità. Per padroneggiare il gioco delle ombre e della luce traspare nella vasta galleria di autoritratti. Non c’è vanità né esibizionismo in questa ricerca su sé stessa se consideriamo che quasi tutti questi scatti non furono sviluppati. Nella sua vasta esplorazione troviamo alcuni filmati in formato Super 8 dove ascoltiamo la sua voce, vediamo i suoi cappellini, la calma che ci fa pensare ai momenti sospesi ed eterni delle immagini del maestro francese Robert Doisneau esponente della corrente della “fotografia umanista” che Vivian avrà studiato con attenzione. La vita quotidiana viene immortalata con una infinita sequenza di attimi, spesso di solitudini ricordando la fissità fredda dei momenti pittorici di un altro grande maestro: Dennis Hopper. Non mancano immagini che catturano gesti di tenerezza da punti nascosti di osservazione.
Discrezione, rispetto, pazienza e, soprattutto, la assoluta mancanza di giudizi moralistici a priori sono le costanti di questo itinerario spirituale mirato a cercare i motivi che muovono gli umani, che consentono loro di affrontare difficoltà e malintesi, forse con altre incomprensioni. L’opera di Vivian Maier insegna che guardare non basta. È importante avere la capacità di “vedere”. Vedere significa vivere intensamente tutti gli attimi della nostra esistenza, affrancati dalla prigione dell’Ego. È la prima donna a creare lo stile e l’arte della “street photography”. Gli scenari preferiti sono le strade dei quartieri poveri e popolari di New York e di Chicago che lei percorre a piedi per centinaia di chilometri. Cattura sviste, attese, paure, ilarità. La frenesia di un mondo imprigionato nella ricerca ossessiva del guadagno viene spezzettata in un elenco di “attimi”. Alcune immagini sono foto cinetiche in stretta sequenza che sospendono il tempo utilizzando le emergenti tecniche cinematografiche. Il provvisorio e il fugace diventano eterni. Vivian Maier edifica una speciale edizione della “commedia umana” per immagini.
Verso gli anni Novanta e il duemila cerca di sopravvivere. Non ha fissa dimora. La poetessa degli “attimi”, la geniale fotografa silenziosa muore sola, senza soldi e senza fama ad ottantatré anni a Oak Park, Illinois, Stati Uniti il 21 aprile del 2009.
(*) Nelle fotografie: Vivian Maier con la sua Rolleiflex; Armenian woman fighting, September, 1956, Lower East Side, NY; Vivian Maier, Lo sguardo nascosto; Vivian Maier, Autoritratto (particolare), febbraio 1955 © Estate of Vivian Maier; courtesy Maloof Collection e H. Greenberg Gallery, New York.
Aggiornato il 02 marzo 2023 alle ore 16:17