Steven Spielberg sabato sera riceverà l’Orso d’Oro alla carriera. Il maestro del cinema statunitense, incontrando la stampa al Festival di Berlino, ha parlato del suo ultimo lungometraggio, The Fabelmans, in corsa per ben sette Oscar. “Sono rimasto – ha detto – come il bambino del film. Sento ancora oggi lo stesso livello di eccitazione quando trovo un libro o una sceneggiatura, o mi viene in mente un’idea originale che penso possa diventare un buon film. Un’eccitazione seconda forse solo alla nascita di un bambino. Quella sensazione è ancora viva in me”. Spielberg ha girato oltre cento film e serie tivù, ottenendo diciannove candidature agli Oscar e vincendo tre statuette (nel 1987, il Premio alla memoria Irving G. Thalberg; nel 1994, il Premio per il Miglior regista per Schindler’s List; nel 1999, il Premio per il Miglior regista per Salvate il soldato Ryan).
Il cineasta 76enne si è abbandonato ai ricordi familiari. “Ho sempre voluto raccontare la storia di mia madre, mio padre e delle mie sorelle. Un’idea che è stata dentro di me tutta la vita e che traspare in tutti i miei film che, alla fine, sono sempre personali. Anzi, molti di loro riguardano proprio la famiglia. Ma niente certo come The Fabelmans la racconta nei particolari. Mia madre diceva sempre: quando racconterai la nostra storia? Eppure, ti ho dato così tanto materiale buono, quando userai quel materiale? È stato durante la pandemia che mi sono passate in testa tante brutte idee, che mi hanno davvero spaventato. Ho iniziato così a pensare alla mortalità, all’invecchiamento e questa paura che provavo per la pandemia mi ha dato il coraggio di raccontare la mia storia personale. Una madre interpretata benissimo da Michelle Williams e che celebrava la vita ogni giorno. Se voleva fare qualcosa lo faceva subito come, ad esempio, saltare su una Jeep con tutti noi insieme per andare a guardare le stelle in mezzo al deserto dell’Arizona”.
Il film preferito? “Non lo dirò mai, i film sono come i figli, non ce n’è uno preferito. Sicuramente però posso dire che quello più difficile, fisicamente ed emotivamente, è stato Schlinder’s List. Mi ricordo, ad esempio, quando invitammo alcuni dei sopravvissuti della lista di Oskar Schindler sul set del film. Molti di loro mi chiedevano di raccontare le loro storie, ma non lo facevano immaginando che così potesse diventare un film, ma solo per raccontare quello che era successo, volevano sfogarsi parlando di quello che gli era successo. Da qui – ha rimarcato Spielberg – è nata una fondazione per raccogliere queste testimonianze. È diventata per me la cosa più importante e di cui sono davvero orgoglioso. Penso che Schlinder’s List abbia il primato di andare oltre sé stesso. La Shoah Foundation ha raccolto testimonianze in tutto il mondo, da quelle armene di terza quarta generazione a quelle raccolte a Sarajevo, fino a quelle di Cambogia e Ruanda. L’archivio si è espanso oltre l’Olocausto ad altri genocidi. E la Germania, e in particolare Berlino, è stata la nostra prima sede europea nel 1994”.
Aggiornato il 22 febbraio 2023 alle ore 17:38