Asor Rosa: un ricordo

La morte di Alberto Asor Rosa mi colpisce in modo assoluto, sguarnito, muore una persona che ha viaggiato insieme al mio viaggiare, quand’anche, all’apparenza. Egli ha maggior vista, ma sono appariscenze, difficile stabilire che resta di noi. Mi sorpassava nell’età, anni, non decisivi come generazione.

Nel 1963 pubblico “Saggio sulla letteratura italiana attuale” per la rivista Nuovi Argomenti, di Alberto Moravia; ha effetti mondiali, realisticamente, fattualmente, Moravia è uomo internazionale e mi trascina nel suo nome. Ma il saggio è determinante, il primo tentativo di valutare gli scrittori italiani del Novecento con criteri estetici marxisti: posizione ideologica, ceti sociali, visione prospettica, borghesia, proletariato, salvezza da parte di chi dell’umanesimo, del valore uomo? La borghesia mercificava, e basta? Il proletariato redimeva l’umanesimo? Schematizzo. Ebbene, il saggio fu diffusissimo, doveva essere pubblicato da Vito Laterza, Sergio Romagnoli curava i rapporti, io mi impelagai in faccende private, non rifinii il testo, e Alberto Asor Rosa coprì il vuoto pubblicando “Scrittori e popolo” (1965) che rianalizzava la mia analisi, ma, in fondo, sostituendomi. La vita non torna indietro. Tutt’altro. Ci conoscemmo. Eravamo giovani entrambi, io scurissimo, lui chiaro. E di sinistra, allora pareva un obbligo. Ma di sinistra irregolari, e per qualche fase nel Psiup, partito eminentemente critico, almeno per taluni; Alberto ed io, di certo.

A mia volta dirigevo di fatto una importante pubblicazione, Opera Aperta, e con Asor Rosa, Achille Occhetto ci incontravamo in casa dei D’Avack (Pietro Agostino, rettore dell’Università “La Sapienza”) o della gentildonna Maria D’Ambra a discutere. Nel mio recentissimo libro “Ho vissuto la morte – Ho vissuto la vita” (Armando Editore), riassumo le mie conversazioni con Asor Rosa ed Occhetto. Asor Rosa decise per ruoli pubblici, istituzionali, interni alle cariche organiche ed alle dispute canoniche: il compito del proletariato, l’imperialismo, il Terzo Mondo, una economia e uomini non sottomessi alla mercificazione. Sono i luoghi comuni dell’alternativa alle società occidentali, e dico luoghi comuni in senso analitico, non spregiativo, il tentativo di una alternativa che abbia quale soggetto ispirante ed esecutivo il proletariato e l’intellettuale capace di innestarsi al proletariato ma non sottomesso ad un partito. Difficilissimi funambolismi.

Come docente Asor Rosa curò una estesa formulazione sull’intera letteratura italiana, anche un altro coetaneo, Walter Pedullà, curò una storia della letteratura italiana, onniprendente temporalmente. Non mi pare abbiano dato contributi oltre la esposizione vasta informata, una formulazione espressiva che forgi stile. Me ne occupai brevemente. Servono per gli studenti e forse vi sarà qualche intesa innovativa, qualche associazione ma, ripeto, non decidono il nostro interesse per la nostra letteratura ed i nostri letterati. Il restante degli scritti di Asor Rosa li leggevo anche non leggendoli, vale a dire: ribadivano questo bisogno di alternativa, l’avversione all’imperialismo, nulla più. Ma nell’epoca transgenicorobotica il compito è rifondare una forza capace di opporsi alla etero direzione dell’umanità, alla laboratorizzazione della natura, alla negazione della storia, contrastare chi vuole stabilire un uomo-non-uomo, senza storia, senza natura, senza volontà personale. Chi si oppone a questo progetto disumanizzante? Il proletariato? Non pare. Manca il soggetto nella sinistra critica e soprattutto manca la coscienza che occorre ritrovare l’aristocrazia dell’arte e della cultura. Incredibilmente la sinistra ha finito con il credere che venire incontro al medio sia unirsi alla gente, al “popolo”, se non al proletariato. Non è l’occasione per discuterne ma queste difficoltà restano in Asor Rosa. La “democrazia” nell’arte è faccenda problematica. Come salvare la civiltà culturale se non vi è una classe che la salva? Chi la salva? L’artista, l’intellettuale devono riastocraticizzarsi? In ogni caso la via democratica in arte rasenta lo scadimente alle leggibilità, al pubblico diffuso.

Ci eravamo visti tempo fa ad una manifestazione, bello vedersi. Mi disse di inviargli il mio romanzo: Il professore, la morte e la ragazza. In delirio all’ospedale Spallanzani, immaginavo che Alberto Asor Rosa scriveva sul mio romanzo, a dire il vero, non so come, talvolta era Asor Rosa, talvolta l’amico Alessandro Meluzzi, li fondevo, nel sogno. Quando visti l’ultima volta, ci siamo guardati, guardati, ma è sicuro che costui è Alberto Asor Rosa? Ma è sicuro che costui è Antonio Saccà? Sì, eravamo, eravamo ancora noi.

Aggiornato il 22 dicembre 2022 alle ore 10:43