Il “Boris Godunov” e la Santa Russia

Ormai pare certo che non vi saranno eventi che impedirebbero la rappresentazione, il 7 dicembre, come avviene sempre: il Teatro La Scala di Milano inizierà la stagione con un testo poderoso della musica lirica, Boris Godunov, nella prima versione, 1869, la più tragica, asentimentale, antiromantica, il potere ad ogni costo, vita, delirio, pazzia. Morte. Evidentemente, una riproposizione del Macbeth di William Shakespeare, ma Aleksandr Puškin che ne scrisse per teatro, da russo estremizza, non che la storia inglese delitti e sconcerti visionari li scansi, ma la Russia tende ogni suo vento sacrale, religioso, una lotta tra Dio e l’Inferno, la Russia trasferisce la storia in apocalisse. Russia, Polonia, Lituania, Ucraina, colpi e radicamento, da mille anni variano, sterminio, odio, legami.

Boris Godunov, personaggio grandioso, o ambisce, il potere, una Russia che si formava imperialmente, sterminatissimo suolo, desolatissimo, poverissimi contadini in guerra con la natura gelante, servi della gleba, medioevo sottozero, l’Europa si rinascimentalizza, i padroni, laggiù, i boiardi schiacciano i servi e ne fanno a loro voglia, selvaggi, feroci tutti, il male, in quel Paese, non ostacola, lo si vive, parte della “caduta” umana. Godunov intende sovrastare i boiari, al pari delle monarchie occidentali sugli altolocati (dico all’ingrosso, quelli orientali sembrano caproni o tori, certo non aristocrazia), con reazione dei boiari. Una congiura cerca di vulnerare Boris, si pone in vista un nuovo usurpatore che si dichiara erede legittimo (uno stringato testo di Prosper Mérimée, a proposito, forse Modest Musorgskij ne tenne considerazione).

Boris teme, vigila, immagina, farnetica, non regge, stramazza. La traversia della caduta e la coscienza di sconfitta e non tenere la Santa Russia è una iperbole del canto, e per voce di basso, in specie, sognativa, disperata, allucinata, alterata, sia nell’incoronazione, sia nella morte, non ha uguali né in Filippo del Don Carlos, di Verdi, neanche nella statua in Don Giovanni di Mozart. È un polo nordico della creatività umana, la massima espressività pure concettuale, sentiamo non soltanto conosciamo l’individuo che si innalza o sprofonda nel fallimento di sé unico e del suo ambire immane, l’individuo che cessando vita e potenza soffre sterminatamente la sconfitta. Non il semplice morire, ma il sofferentissimo “perdere”. Un canto parlato, gridato, sbandato, nessuna influenza romantica sentimentale. Quella del 1869 è stesura dissonante, scagliosa, suoni terremotati, non “melodia”, di botto, asimmetrica. Musorskij fu irregolare nell’esistenza e nella operosità. Ha pagine delicate, melodiche, altrove, e nelle stesure ulteriori del Boris Godunov, ma l’aspro, la massa sonora, il cupo lo traggono, e conserva dissonanze perfino in Quadri di un’esposizione, nella formulazione al pianoforte. Morì presso che volontariamente, alcolizzato, un Suo ritratto, all’Ermitage, lo palesa con occhi brilli di selvatico dolore.

Come avviene in quel Paese, l’artista è stretto al popolo, il distacco dell’intellettuale/ popolo in Russia non esistette, venne ripreso dai comunisti, l’ancoraggio, e non è del tutto cassato. In grandissima parte la Russia ha etica contadina religiosa e gli intellettuali, gli artisti anche. Anzi, gli artisti. In Russia, l’artista è artista se attinge ed esprime il popolo, ed il popolo è ancora in massima presenza “ortodosso”, l’esistenza come tragedia sotto il segno di Dio, rassegnazione, sofferenza, gioia, morte, tutto accettato, e avanti, in qualsiasi condizione, niente lo dominerà, sopporterà ogni vicenda. Nel segno della fede. E della missione sacra che trasferì alla Russia il sacro perduto dell’Occidente “borghese! Il Boris Godunov non è soltanto lotta per il potere ma per le insegne sacrali del potere.

Spero che la regia lo comprenda. Il Boris Godunov è l’opera che è in quanto non è soltanto lotta di potere, Macbeth è un Re, Boris Imperatore Sacro della Santa Russia. Spero sia colto questo carattere dell’opera, e della Russia. In Russia i capi o sono carismatici o non sono. L’ortodossia unifica religione e politica, lo Zar deteneva cariche politiche e religiose, al modo “pagano”, non come il sovrano inglese anglicano o delle Repubbliche europee. Il Cremlino di Mosca è un Vaticano Imperiale. Boris “sente” questa regalità sacrale, la sua vicenda è tragicissima perché Egli è cosciente, ritiene di incarnare la volontà di Dio sulla terra eletta da Dio. Ribadisco, è il mantenimento della sacralità. Anche nei paramenti abbaglianti come migliaia di pavoni e pappagalli a penne larghe in alto cielo, non ne abbiamo sospetto, noi, tranne qualche parata inglese e cattolica. E qualche solennità ebraica. Un potere desacralizzato finisce nel territorio deserto della burocrazia economicistica, come avviene, nel mercato fine a sé stesso. A che scopo di civiltà?

È con gran piacere che vedremo, ascolteremo l’edizione del 1869, più conosciute le altre, segnatamente con l’intervento del generoso Rimskij Korsakov. Un’opera che consente di ripensare il potere, la sacralità, l’individualità, la morte, la sconfitta, l’orrore, interi popoli subiscono le lotte dei potenti. Il finale in cui l’Innocente piange sulla condizione del popolo, un canto strascicato, “stonato”, lamentoso, da disgraziati, che dire, arte, ossia verità. Apprezzamenti, stavolta, per i mezzi di comunicazione che si renderanno diffusivi. Un’opera di Francis Poulenc, Dialoghi delle Carmelitane, messa in circuito, inaugura l’Opera di Roma. Le Carmelitane che non intendono abiurare, siamo nel giacobinismo francese, 1794, e salgono il patibolo, tremendo, vale ricordare l’Andrea Chenier di Umberto Giordano ma Poulenc fa bene per sé. Ancora, sempre mezzi di comunicazione diffusivi, Gaetano Donizetti, 225 dalla nascita, ricorrenza con esecuzioni del passato. Eccellente iniziativa.

L’opera lirica serve alla cultura estremamente, noi italiani non primeggiamo nella narrativa ma non ci supera alcuno nella narrativa musicale. Ed i personaggi femminili, in specie, delle opere italiano sono mondiali. Sociologicamente, storicamente esteticamente la lirica è sostanziosissima. Poniamo, il risveglio risorgimentale lo cogliamo nella lirica massimamente, l’irrisione alla aristocrazia inattiva o prepotente, e tutto il resto. Certo, quando si legge che le suore carmelitane si sacrificano al cospetto di un Gesù “né uomo né donna”, così viene scritto, sussultiamo! Possibile che attualizzare sia degenerare! Se poi veniamo a conoscere che Bris indosserà un abito a guisa di campana riproducente le campane del Cremlino; per affinità solenne della Sua persona con il luogo del potere, non so, le modalità interpretative di registi e costumisti e talvolta direttori ci rende investigativi. Ma abbiamo fatti degni di curiosità. Ottimamente.

Aggiornato il 02 dicembre 2022 alle ore 21:34