Jan Van Eyck: una biografia nella storia

Come riesca Patrizia Debicke van der Noot a non perdersi nella boscaglia erbosisissima dei suoi personaggi, tutti storici, quindi attenzione agli svistamenti, lo sa lei, d’altro canto se il lettore talvolta si illabirinta i pilastri orientativi reggono e sono netti. Fine del XIV secolo, tra Inghilterra e Francia, guerra, presso che cento anni, e non soltanto Francia e Inghilterra ma l’Europa comincia i massacri interni. Nasce la monarchia nazionale ma i potenti locali sono potenti! Prende origine anche la borghesia e l’arte ha un nuovo soggetto, il borghese, appunto, abiti civili, secolarizzati, non che l’immane presenza religiosa sparisca, è affiancata da soggetti laicizzati.

Le Fiandre sono luoghi commerciali ricchi, nascente borghesia ed antica nobiltà si affermano, ed entrambe hanno quale scopo non soltanto ricchezza e potere ma, come avviene quando la società si rende civiltà, arte. Arte per eternizzarsi, null’altro esistendo, per eternarsi nella mondanità meglio opportuna dell’arte, o, credenti, per amicarsi Dio e Santi. Di tale evenienza Jan van Eyck fu esponente determinante a livello cosmico terrestre.

I suoi colori, le sue collocazioni architettoniche, i simboli, l’austerità solenne, nitida, essenziale, e, soprattutto, una rigidità che immobilizza millenaristicamente, stampare per il sempre quella posizione delle figure e degli ambienti, una raffigurazione dove non esiste movimento, pittura scultorea, ma snella, quasi miniaturizzata, e colori mai sortiti, dei verdi memorabili, rossi, e figure schiette, ferme, dicevo, e solenni ma non drammatiche, serie.

Piccoli quadri che Van Eyck penso curasse con pennellatura carezzevole incantandosi nel perfezionarli. Miniature consistenti e lievi. Talune sono capolavori della intera arte umana, I coniugi Arnolfini, la donna gravida, contegnosa, il coniuge sicuro, riuscito, amore, benessere, borghesia nascente. Il celeberrimo Polittico di Gand, e il quadro di cui scrive la Van der Noot, sul presunto calice dell’Ultima cena. Ma annoto qualcosina. Jan aveva un fratello, Hubert, pittore anche Egli, muore e lascia a Jan l’opera da concludere; ha un nipote, Bartholemy, che proseguirà l’opera di Jan. L’autrice affolla di personaggi, il Duca di Bourgogne, committente dei Van Eyck, Re Alfonso, Amedeo di Savoia, ma sono cenni.

Van Eyck deve raffigurare fanciulle per il Duca di Bourgogne, ma è una scusa per entrare nei paesi, nella nobiltà, spiare se congiurarono contro il Duca. Nel mentre raffigura per spiare, raffigura per eternare, corpi, volti, ambienti. La bellezza delle donne. Non si pone ricerche espressive, la Van Der Noot, ma come piacere di narrazione si fa leggere in tutti i rami delle vicende. E in talune circostanze, l’entusiasmo di Re Alfonso per il Calice, le passioni amorose di vari personaggi per i figli o le amanti, si rende espressiva. Molti anni sono scomparsi da quando a Messina vi fu una Mostra di Antonello da Messina, appunto.

Antonello vive la situazione di Jan van Eyck, soggetti religiosi, soggetti laici del tutto nella società civile del presente. Era la prima volta che scorgevo un volto “moderno” non sacro nella pittura. Addirittura Antonello rende “laica” persino la Madonna, un volto che più siciliano non se ne colgono, a parte i suoi ritratti maschili. Allora ignoravo che Antonello prese non soltanto i colori ad olio ma queste novità moderne dai Van Eyck, precisamente da Bartholemy, che seguì Re Alfonso a Napoli, e tornò dal Duca di Bourgogne. Come la Van Der Noot narra le dispute per accaparrarsi gli artisti fa capire troppo bene la differenza tra quell’epoca e la nostra.          

Il segreto del calice fiammingo di Patrizia Debicke van der Noot, Ali Ribelli edizioni, Collana Narrativa – Maree, 445 pagine, 15 euro

Aggiornato il 13 novembre 2022 alle ore 08:47