La libertà avvinta alla qualità

Indubbiamente con l’avvento del capitalismo e della immensa capacità produttiva e dell’ampiamente estremo della domanda e dell’offerta si stabilisce un rapporto tra borghesia e popolazione che non esisteva, l’aristocrazia era chiusa in se stessa, certo vi era il popolo ma in una situazione diversa dal rapporto della merce e del consumo che ne viene con la borghesia. Si fondò la “simpatia” vale a dire i produttori creano merce che possa essere gradita alla massa acquirente, si adegua, abbassa, si arrende al maggior numero, si fanno “simpatici”. Entra nella storia della società il “maggior numero”, un evento storico di importante enorme, la connotazione dell’epoca moderna democratica, democrazia economico-politica in connessione. Ne venne il timore da parte di intellettuali e di artisti che si perdesse la “qualità” se tanti produttori cercano di accontentare il numero, il maggior numero che di sicuro non ha qualità, criteri superiori di scelta, alcuni intellettuali, alcuni artisti vissero alla disperazione questa eventualità, che ormai la società si rivolgesse al maggior numero, riferimento assoluto della qualità senza qualità.

A riguardo le opinioni fondamentalmente si riducono a quella ipotizzata da Karl Marx e a quella ipotizzata da Friedrich Nietzsche, in maniera estrema tutti e due. Marx era convinto, e voleva, oltretutto, che l’accrescimento dei mezzi di produzione fosse talmente avanzato da liberare i lavoratori dal lavoro manuale ed abolire la separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, una volta liberato dal lavoro manuale il proletariato, secondo Marx, avrebbe acquistato la possibilità del lavoro intellettuali e chiunque avrebbe potuto assurgere a strabilianti risultanze artistiche filosofiche e così via. Sarebbe opportuno che qualche neo-terzomondista lo conoscesse (Critiche al programma di Gotha).

Vedremo. È una ipotesi, attualmente la diminuzione del lavoro manuale non comporta inevitabilmente salto di qualità, anzi: noia, opacità mentale, mediocrizzazione generalizzata. Vedremo. Una connessione tra produttori e consumatori a livello peggiorativo, un tempo libero sprecato. Nietzsche è spietatissimo e disperatissimo, non crede, tranne momenti di cedimento, che la liberazione dal lavoro manuale avrebbe consentito di dedicarsi alle attività mentali, spirituali, anzi teme il contrario, questa gente avrebbe usato il tempo libero invadendo il campo culturale ed imposto la degradazione, l’abbassamento di qualità per essere destinataria prediletta delle attività sociali anche spirituali.

Friedrich Nietzsche ipotizza il superuomo e le caste. Spietatissimo per ostacolare il dominio delle masse, le quali, essendo, appunto, masse, moltitudini, potevano dominare il singolo. Da ciò la necessità delle caste, una lega di superuomini, al dunque, senza colpevolizzarsi di tenere a freno le masse. Per Nietzsche non è minimamente realistico sostenere che il debole, il non capace, il povero siano necessariamente buoni, anzi, possono essere ferocemente invidiosi, “risentiti”, uomini del sottosuolo, curiosamente a somiglianza di quanto riteneva Marx, il quale avversava l’uguaglianza ed il comunismo dell’invidia (sarebbe opportuno saperlo) e spregiava il sottoproletariato. Nietzsche impazziva, realmente, al considerare che le espressioni culturali fossero determinate dal maggior numero giacché, in quanto maggior numero, poteva vincere il singolo valente, perfino costringerlo a non poter esprimere giudizio di valore! La novità morale di Nietzsche è il capovolgimento dei criteri morali: non è minimamente accettabile che il non valente sia il fine della società, chi non vale non vale, ed occorre dirlo.

È un poveraccio, deve essere aiutato, sia, ma non è il fine di una civiltà. Non immiserirlo economicamente ma non privilegiarlo spiritualmente! Se poi addirittura si dubita che sia “qualità”, è la tomba, siamo livellatori, Scipione l’Africano è pari all’ultimo vigliacco. Allora come si difende una civiltà? Elevando ai livelli estremi la qualità, la nobiltà dello spirto, l’aristocrazia estetica, mentale, morale, morale nel senso detto: non abbassandosi, ma, se mai, elevando, elevando non abbassandosi! Chiesto il punto critico della vicenda. Elevare senza adeguarsi al basso. Vi un perniciosissimo criterio, ritenere di venire incontro abbassandosi. Considerare spregiante, dominativo, superiorità, schiavizzatore, chi mantiene il livello in sopra altera radicalmente il vero. È l’opposto. Occorre disprezzare per elevare. Se non disprezzo non esigo da me e dagli altri, non reputo capace me e gli altri di montare qualitativamente.

Nessuno è più disprezzante di una forma democratica condiscendente. È segno che non si crede possibile valere, lascia il nulla nel nulla! La democrazia ha senso quando permette al maggior numero di montare in qualità, di selezionarsi, non di favorire la quantità che rimane quantità. C’è da auspicare che il problema della aristocrazia dello spirito e della democrazia selettiva torni a costituire il vero problema della nostra civiltà e della civiltà. Di una democrazia che vale per il suo numero e nulla più avremo soltanto la volontà di impotenza. Sì, esiste la volontà di impotenza. Potentissima. Concretizzo. Qualcuno valuta che civiltà fiorirebbe da milioni di immigrati nel nostro Paese e milioni e milioni in Europa?

No, non siamo in fase ellenisticheggiante come riteneva qualche amico sociologo, ellenistico fu l’incontro di culture superiori, aristocratiche, appunto, non scorribande immigrative. E dico di più. Non siamo neanche nella barbarie durante la decadenza romana. I barbari divennero cristiani e si onoravano di continuare l’Impero. Oggi avverrebbe il contrario. Oggi avviene il contrario. Non l’incontro di culture né la conversione altrui orgogliosi di europeizzarsi! Vogliamo considerare la fenomenologia immigrativa realisticamente (oltre il soccorso umano)? Non sorgerà una civiltà! Siamo alle strette nella difesa della nostra civiltà, dobbiamo superarci, severi con noi stessi (e con gli altri), evitando di rendere la democrazia un recipiente all’ammasso dove chiunque ha diritto di avere parte senza conquista, per diritto di esistenza.

Vi è un diritto di esistenza e un dovere di elevazione. Disgraziatamente i mezzi di comunicazione sono spesso rovinosi. Trasformano la quantità in qualità, non secondo la dialettica materialistica, ma secondo ampliamento cognitivo. Un evento, un autore che conquistano la comunicazione di massa, diventano beniamini dell’opinione pubblica credulona. Insegnando Sociologia delle forme espressive (Letteratura) svolgevo un esperimento. Davo a leggere brani di autori (Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, Italo Calvino, Elio Vittorini, Carlo Cassola per dire) senza nominarli. Ed anche brani di autori pochissimo riconosciuti, ad esempio Guido Morselli. Presso che mai gli autori noti ma non dichiarati erano ascoltati: mollicci, immusicali, privi di mutamenti emozionali, terriccio, laddove autori presso che ignoti traevano. Ma, ecco la trasfigurazione, appena svelavo che i mollicci erano Pasolini, Calvino e successori, gli studenti, temendo di non essere imbracati nell’opinione diffusa cambiavano giudizio. Ecco una fonte di rovina di una civiltà.

E l’orrore di una democrazia male intesa, la paura di non essere dell’opinione corrente, il tremore dell’io penso da io. Senza il bastione individualizzato che possiamo definire la libera soggettività, crolleremo. Ammassi interni, ammassi esterni, è la fine! Non si tratta di essere buoni, la condiscendenza non serve a niente, bisogna tendere alla qualità. La democrazia è portentosa (dubbi a parte) se “tende” all’aristocrazia dello spirito, permettendo a ciascuno di scalare le cime, apprezzando chi raggiunge l’apice. L’eguaglianza è disprezzo, non ti credo capace di avanzare. Bisogna stimolare le capacità di auto superamento degli individui. Autosuperarsi non è disprezzo degli altri, se mai tentativo di stimare se stessi. Non c’è alcuno massimamente severo e critico di se stesso di colui che vale e tenta di valere.

Si è stabilito un equivoco malsano, è chi stima che disprezza perché vuole stimarsi e stimare. Chi ti lascia come sei non ti crede capace di avanzare. Se riusciamo a stabile una democrazia “verso” l’aristocrazia possiamo sanarci. Diversamente avremo l’ammasso umano, che verrà ritenuta democrazia accogliente, inclusiva, interna ed esterna. In ogni caso: forgiare singoli-gruppi con volontà di mantenere in piedi la civiltà, insoddisfatti da ogni lato, inappagati, che hanno stima della nostra civiltà, amanti degli artisti, scienziati, politici, eroi che onorano se stessi e l’umanità. Occorre capovolgere i criteri valutativi, non democrazia demotica ctonia ma democrazia aristocratica. Ciascuno faccia il possibile. “Diventa” ciò che sei. Diventa, non resta chi sei! In prima persona nella comune volontà di civiltà. Civiltà non(soltanto) società! A tal fine è opportuna una rielaborazione qualitativa del liberalismo: l’individuo che valorizza per se stesso, “individualmente” il criterio valutativo ed accrescitivo. La libertà avvinta alla qualità.

Aggiornato il 09 novembre 2022 alle ore 16:10