“Spaghetti”, una storia italiana

Ci saranno sempre storie che non ci stancheremmo mai di ascoltare, soprattutto se legate ai ricordi di famiglia, al “io vengo da lì” e ci sono molti modi raccontare una stessa storia: con le parole, la poesia, i gesti, la musica, un ballo, le immagini e così via. È fondamentale però che chi guarda e ascolta si ritrovi e si immedesimi, che provi quindi un’emozione. Questo è quello che è successo al Teatro Vascello di Roma il 29 e il 30 ottobre.

“Spaghetti” ci riporta agli inizi del Novecento su una delle tante navi che salpano dall’Italia verso il sogno americano. Ed è lì nella pancia della nave, in mezzo al mare, che assistiamo alla nascita di amicizie, di amori, al concretizzarsi di dubbi, alla nascita di speranze e al bisogno di ricordare sempre chi siamo... e tutte queste emozioni vengono rese reali, tangibili grazie alle incredibili performance di artisti e acrobati che fanno sembrare facile l’impossibile.

Inizia lo spettacolo e assistiamo alla salita sulla nave dei migranti, spaesati e in fila ordinata e timorosa. Valigie di cartone tenute con lo spago, dialetti a tratti incomprensibili: “Non ho capito una parola” dirà una ragazza a una siciliana che racconta un aneddoto su cosa si mangia a casa sua... già perché l’italiano era una lingua ma non tutti la parlavano.

Sul palco troneggia imperiosamente il palo cinese – alto quanto le americane delle luci – tenuto da quattro corde... solo quattro. Ed è lui a strappare il primo “wow” al pubblico quando uno dei marinai lo trasforma quasi in un compagno di ballo, si arrampica fino in cima con una velocità e una leggerezza da farti domandare “ma c’è il trucco?”, via le mani o forse i piedi e poi a testa in giù si lancia verso il pavimento fermandosi in posizione fetale a pochi centimetri dal suolo.

Ci si riconosce condividendo quello che si ha in comune, come i mille modi per arrampicarsi, arrotolarsi e srotolarsi da un trapezio. Ci si conosce imparando o insegnando a camminare sulle mani. Ci si fa scoprire mentre si fa l’amore per far poi innamorare il pubblico della roue cyr, un cerchio che sembra dotato di vita propria, una ruota di metallo che diventa un tutt’uno con il corpo dell’acrobata, talmente viva da sembrare telecomandata.

Dalle quinte entrano ed escono trapezi, corde, cerchi, nastri insieme ai migranti che, mentre si raccontano, giocano e si fondono con essi con una facilità talmente esagerata da rendere palese la difficoltà e le ore di sudore e fatica che ci vogliono per far nascere nello spettatore un sognante “magari potrei riuscirci anche io”.

Sono lunghissimi trenta giorni di navigazione ed ecco che il cerchio appeso diventa prima un oblò della nave da cui l’attrice si affaccia e sospira un “io il mare a Ostia l’ho visto ma non è così” e poi la meraviglia nel vedere che si può volare basta correre intorno a un palco tenendosi appesi a un cerchio. Sembra facile ma ormai si è capito che non lo è.

Si intrecciano i racconti, si aprono valige da cui escono pacchi di pasta, “magnaspaghetti ci chiamano”, ma se si parla un’altra lingua come si fa a farsi capire? La risposta sta nella magia della giocoleria, bianche sfere che vengono lanciate e riprese a mezz’aria, fermate sul braccio come improvvisamente incollate. Ci si arrampica su corde e tessuti elastici che sembrano serpenti o alghe marine tanto si arrovogliano sui corpi delle acrobate che salgono, scendono, volano e si lanciano strappando applausi a scena aperta e permettendo così al pubblico di riprendere fiato e ricordarsi di sbattere gli occhi.

Lo spettacolo di circo-teatro messo in scena dalla Compagnia Materiaviva Performance è riuscito a raccontare la difficoltà di una scelta di vita definitiva utilizzando le difficoltà proprie delle discipline circensi. Difficoltà che si possono superare grazie alla volontà, alla determinazione e alla forza identitaria del gruppo, dello stare insieme e del supportarsi durate le avversità foss’anche solo attraverso la rassicurante condivisione di un bel piatto di spaghetti prima di continuare il lungo viaggio verso Ellis Island.

Phineas Taylor Barnum, grande circense americano, diceva che “l’arte più nobile è quella di rendere gli altri felici” e per ottanta minuti questo è accaduto, nelle due serate sold-out, grazie alla regia di Roberta Castelluzzo con l’aiuto regia di Linda Di Pietro, il suono e le luci di Giovanni Modonesi, i costumi di Nide Russo, le scenografie di Lisa Di Cerruti e le mirabolanti performance di Viola Alessandrini, Linda Arduini, Sofia Canzona, Luciano Capasso, Rossella Caruso, Lisa di Cerruti, Teresa del Vecchio, Jonnathan Lemon Felício, Alice Foglia, Marta Farace, Francesca Gavaruzzi, Alessandra Lanciotti, Maria Bianca Muneghina, Biagia Perrucci, Aurora Tiberi, Virdiana Tiberi, Leonardo Varriale, Silvana Zaccardi, Vasili Zafiroupulos.

(*) Foto di Ilaria Antognetti e @csfadams

Aggiornato il 02 novembre 2022 alle ore 09:52