
Roberto Benigni compie 70 anni. Divertente, debordante, affabulatore, geniale, è diventato uno degli attori e registi più apprezzati. In Italia e nel mondo. Un autentico artista totale. Il cineasta, mattatore dell’Oscar 1999, con il suo capolavoro, La vita è bella (film vincitore di tre statuette: Miglior film straniero, Miglior attore protagonista, Miglior colonna sonora di Nicola Piovani ), è entrato di diritto nella storia del cinema, della televisione, del teatro. Figlio di contadini, ultimo di quattro genitori dall’amore dei figli Luigi e Isolina, nato a Manciano La Misericordia nell’aretino, cresciuto a Prato è diventato una stella del firmamento internazionale. Benigni è diventato l’icona di sé stesso. Una maschera della commedia dell’arte dietro cui si nasconde un uomo timido e sorridente, un Pinocchio sempreverde che conserva la saggezza contadina dell’artista che lo ha scolpito, Geppetto. Non a caso, al personaggio di Collodi ha legato due volte la sua carriera, prima con lo sfortunato film del 2002 e poi come attore perfetto ( Nastro d’argento come Geppetto ) al servizio di Matteo Garrone nell’adattamento del 2019.
Per evitare che la festa di compleanno si trasformi in celebrazione encomiastica, Benigni ha schivato ogni occasione pubblica e anche alla mostra delle foto di Mimmo Cattarinich a lui dedicato dalla Casa del Cinema, è apparso in forma privatissima. Benigni debutta nel 1971 al Teatro Metastasio di Prato come cantante e musicista ne Il re nudo diretto da Paolo Macelli; Carlo Monni e, soprattutto Marco Messeri, lo “tengono a battesimo” in vari spettacoli d’avanguardia a metà fra il teatro di strada e l’invenzione comica. Sbarcato a Roma nella compagnia di Messeri, Roberto Benigni incontra nel 1975 Giuseppe Bertolucci che scrive per lui il monologo di Cioni Mario, diventato in breve lo spettacolo di punta del Teatro Alberico, punto di riferimento della scena off romana.
Frammenti di quell’esperienza finiscono nel programma tivù Onda libera alias Televacca, avversato dalla censura come del resto il suo primo exploit al cinema (sempre per mano di Giuseppe Bertolucci), Berlinguer ti voglio bene del 1977. Nonostante le scoperte simpatie per la sinistra (a un raduno dei giovani comunisti nel 1983 prese in braccio il segretario Enrico Berlinguer, creando scompiglio) ma anche simpatia per sé e il suo bersaglio.
A teatro nasce lo spettacolo a sketch TuttoBenigni; in tivù con le irruzioni al Festival di Sanremo ea Fantastico (auspicio Pippo Baudo), tra piccolo e grande schermo nel sodalizio con Renzo Arbore tra L’altra domenica e Il Pap’occhio (a lungo censurato). Aspetta il 1983 per misurarsi con l’altra parte del set e la regia di sé stesso. Debutta in punta di piedi con un film a episodi, Tu mi turbi nella più limpida tradizione del cinema comico all’italiana. Ma dietro uno stile sobrio, quasi trasparente, di regia nasconde ambizioni più alte. Con la complicità dell’amico Bertolucci scrive per sé e Massimo Troisi Non ci resta che piangere (1984) un “buddy buddy” a spasso nel tempo che frantuma ogni record d’incasso. Poi scappa dal suo successo e sbarca in America per farsi dirigere dall’amico Jim Jarmush con cui firma Daunbailò nel 1986, seguito da altri due lavori in cinque anni. Accetta di misurarsi col mito di Peter Sellers ne Il figlio della pantera rosa (1993) e torna in patria con un diverso carisma, da attore e regista di culto.
Dal 1988 lo ha adottato Vincenzo Cerami, scuola pasoliniana e gusto dell’eccesso elegante. I due collaboreranno per sei volte vita a un formidabile sodalizio umano e artistico arricchito da Nicoletta Braschi, fondatrice insieme a Roberto ed Elda Ferri della casa di produzione Melampo, attrice-icona dell’uomo che diventa suo marito nel 1991. Insieme passeranno di successo in successo, da Il piccolo diavolo a Johnny Stecchino, da Il mostro fino al trionfo de La vita è bella che vince l’Oscar per il miglior film straniero ma regala a Roberto anche la statuetta come miglior attore. Seguiranno Pinocchio e La tigre e la neve, ma nell’intervallo c’è spazio per la collaborazione con Federico Fellini (e Paolo Villaggio ) in La voce della luna (1990). Negli ultimi anni il connubio con Dante e la Divina Commedia ha portato Roberto Benigni su altri lidi, lontano dal cinema.
Aggiornato il 27 ottobre 2022 alle ore 18:03