Festa di Roma, delude “La cura” di Francesco Patierno

“La cura” di Francesco Patierno

Una troupe gira a Napoli, nei giorni più duri del lockdown contro la pandemia. Francesco Patierno, autore del magistrale Pater Familias, adatta per lo schermo La peste, il romanzo scritto da Albert Camus, nel 1947. Il film è stato presentato in concorso alla 17ª Festa del cinema di Roma. Francesco Di Leva interpreta sé stesso, ma dà anche il volto al personaggio di Bernard, un medico la cui moglie, versando in condizioni di salute drammatiche, decide di andarsi a curare a Milano. Nel corso del racconto, i piani narrativi si intrecciano, si permeano.
La realtà si confonde con la finzione. Nel teatro della disperazione, ogni attore-personaggio sperimenta la tragedia del contagio: Andrea Renzi (il prefetto) deve affrontare la malattia della piccola figlia; Francesco Mandelli (Rambert) è un attore arrivato in una Napoli deserta, che vuole tornare, a tutti i costi, nella sua città d’origine; Alessandro Preziosi (Tarrou) organizza un gruppo di volontari; Peppe Lanzetta pronuncia le parole apocalittiche di Padre Paneloux: “Fratelli, la sventura vi ha colpito. Fratelli, ve lo siete meritato”. La cura è un film illuso. Patierno mette in scena il testo letterario, provando una chiave “universale”. Ma quando il meccanismo narrativo viene svelato, l’andamento della storia diventa ripetitivo. Purtroppo, il regista napoletano gira un film verboso. L’attualizzazione delle pagine camusiane risulta ridondante. Gli estenuanti monologhi di matrice teatrale appesantiscono il dramma e lo stilizzano. L’unica verità è rappresentata dal mare, che apre e chiude l'universo narrativo di un’umanità che deve ripensare la propria visione solidale

Masterclass, James Ivory incontra i giovani

James Ivory ha tenuto la sua Masterclass all’Auditorium. Il cineasta, Premio Oscar per la sceneggiatura di Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, è il protagonista assoluto della kermesse capitolina. L’autore di Camera con vista (1985) e Quel che resta del giorno (1993), americano di Berkeley, in California, viene definito, per il suo gusto austero, un regista “inglese”. Gran parte della sua lunga carriera è rappresentato dalla sua società di produzione l’amico indiano Ismail, il gruppo indipendente più longevo del mondo cinematografico, presente nei Guinness. Intervistato dalla critica Emanuela Martini, davanti a un pubblico di giovani, Ivory ha trasmesso “Ismail”. “Siamo stati viaggiatori di immagini e culture attraverso storie di sentimenti, con le persone al centro oltre agli ambienti sempre molto importanti” e un tema spesso affrontato come l’omosessualità contrastata (vedi Maurice). Ivory è il maestro degli adattamenti letterari: Kazuo Ishiguro, EM Foster, Jean Rhys, Henry James solo per citare alcuni autori. “Mi etichettano con l’Inghilterra – ha affermato ironico – ma il bello è che io da giovane sognavo l’Italia e la Francia. Sulla strada del Regno Unitomi hanno messo gli inglesi conosciuti in India. Quello è stato il mio passaggio di formazione”.

Aggiornato il 20 ottobre 2022 alle ore 11:40