Il libro-testimonianza sulla lotta alla mafia di Governale

Sul fenomeno mafioso esiste – come è noto – una vasta letteratura, che ne ha affrontato gli aspetti storici, giuridici, politici, economici e sociologici, o che da esso ha tratto spunto per trasposizioni filmiche e romanzate di fatti drammaticamente reali. Per coloro che desiderino – viceversa – un approccio approfondito da parte di una persona che ha vissuto direttamente la lotta a siffatta criminalità organizzata, si rivela assai utile ed interessante il libro-testimonianza Sapevamo già tutto. Perché la mafia resiste e dovevamo combatterla prima firmato dal generale di Corpo d’Armata dei Carabinieri Giuseppe Governale, protagonista di primo piano nell’agone tra Stato ed antistato, tra la luce della legalità e le tenebre della delinquenza organizzata in strutture gerarchicamente codificate e radicate, soprattutto nel Sud Italia, con diramazioni al Nord ed oltre i patri confini.

Il fenomeno mafioso in senso lato, si articola – come è noto – in diverse forme organizzative, quali cosa nostra in Sicilia, ndrangheta in Calabria, camorra in Campania, sacra corona unita in Puglia. La chiarezza espositiva dell’autore, tipica non di un teorico, ma di un protagonista attivo del cosiddetto “diritto vivente”, è uno straordinario strumento conoscitivo per affrontare una patologia sociale che, nelle sue variegate articolazioni, sa tenersi “al passo con i tempi”, avvalendosi anche delle moderne tecnologie informatiche. Nel 1982 venne creato il reato specifico di associazione mafiosa (articolo 416 bis del Codice penale) che il pool di cui facevano parte Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, avrebbe utilizzato per ampliare le investigazioni sul fronte bancario, e per tracciare i movimenti dei capitali riciclati anche nelle aree del Settentrione.

I due magistrati, ed altri dopo di loro, sapevano di essere – come disse loro il collega Ninni Cassarà“dei cadaveri che camminano”. Borsellino parlò lucidamente dei legami tra la mafia e l’ambiente industriale milanese e del Nord Italia in genere. Il 15 settembre 1993 venne assassinato dalla mafia don Pino Puglisi, che assurse alla gloria degli Altari come “Beato”. In quello stesso anno Papa Giovanni Paolo II nella piana dei templi di Agrigento tuonò contro i mafiosi: “Convertitevi, un giorno verrà il giudizio di Dio”. Un altro martire per la giustizia fu il “giudice ragazzino” Rosario Livatino, che è stato del pari dichiarato “Beato” il 9 maggio 2021. I giovani in particolare, chiamati a raccogliere l’eredità morale e civile di quei martiri per la giustizia, possono trovare una preziosa fonte di conoscenza, e quindi di piena consapevolezza, di quel cancro sociale che è il fenomeno mafioso attraverso una lettura attenta e meditata del libro in parola.

Tale libro è un tassello del mosaico della cultura, nel cui ambito va ricondotta quella della legalità: non mero apprendimento di nozioni, bensì palestra di discernimento e, quindi, di libertà e di democrazia. Destinare risorse economiche all’istruzione, è la migliore deterrenza contro forme estreme di “disagio giovanile” – ottimale bacino di pescaggio per la malavita organizzata – la quale opera in settori che vanno dall’uso allo spaccio di droga, dalle intimidazioni per il “pizzo” e la “protezione”, all’esercizio di una “giustizia parallela”. Prevenire costa assai meno che investire in nuove carceri o nel presidio armato dell’intero territorio nazionale, che può valere come deterrente al crimine nel breve periodo, ma non può certo divenire una misura “strutturale”.

Ed allora ben vengano le testimonianze “pedagogiche” come quella dell’autore di questo libro, di cui si suggerisce vivamente la lettura, coinvolgente come un romanzo, ma sintesi di una storia vera, viva e vissuta personalmente dall’autore, il quale ricorda il sottile filo rosso che sembra collegare i Rapporti dal periodo postunitario, con quelli stilati ai giorni nostri, redatti dalle Forze dell’Ordine – nelle loro varie articolazioni – che peraltro sono rimasti una sorta di “lettera morta”.

A tale esito, non sono estranee le “contaminazioni” – specialmente negli agoni elettorali – tra la malavita e quei politici che non hanno disdegnato di avvalersene per raggiungere i necessari voti per lo scranno parlamentare, o nelle Amministrazioni locali, non trascurabili né marginali centri di potere.

Il fenomeno della criminalità organizzata non è certo una patologia dei tempi moderni, se è vero come è vero che già Giosuè Carducci affermava sul finire dell’Ottocento, che in Italia due cose erano immortali: L’Arcadia e la camorra. Confidiamo allora in una “nuova Letteratura”, nel cui ambito va collocato il bel saggio del Governale, per un’azione formativa in grado di orientare consapevolmente e di sensibilizzare le coscienze dei giovani e dei meno giovani, traducendo così la lotta alla criminalità organizzata – per dirla con Giuseppe Mazzini – dal pensiero all’azione, ovvero dalla rappresentazione letteraria, alla prosa operativa del diritto vivente.

Sapevamo già tutto. Perché la mafia resiste e dovevamo combatterla prima di Giuseppe Governale, Solferino 2021, 352 pagine, 19 euro

Aggiornato il 16 settembre 2022 alle ore 12:18