Ritratti. “Diario di un maestro”: la scuola in periferia

Così lontani, così vicini. Siamo nel 1973: fuori dal centro della città emerge un altro spaccato, fatto di solitudine, problemi, difficoltà di arrivare a fine mese, arte di arrangiarsi, vivere alla giornata, avere una casa. Ma c’è anche una scuola, dove spunta una classe di risulta, come la definisce la “fiduciaria” del plesso. La missione, non facile, dell’insegnante Bruno D’Angelo (interpretato da Bruno Cirino) è togliere quell’etichetta. La struttura è al Tiburtino III, periferia romana. Lo sceneggiato – si può vedere su RaiPlay – è “Diario di un maestro”, tratto dal reportage narrativo “Un anno a Pietralata” di Albino Bernardini. Gli altri personaggi sono abitanti e ragazzini di Torraccia, Pietralata (altre borgate capitoline) e dello stesso Tiburtino III. La regia è di Vittorio De Seta.

Osservando la mini-serie – quattro le puntate – con gli occhi di oggi fa un po’ strano, ma non troppo. Già, perché, in alcuni tratti la sensazione è che non sia cambiato nulla in quasi 50 anni (“l’ambiente è quello che è” è il concetto che scorre lungo il filo narrativo). Il maestro, che proviene da Napoli e che, per sua stessa ammissione, finalmente ha una classe tutta sua, deve fronteggiare non solo l’abbandono scolastico e il disagio giovanile, ma anche una macchina amministrativa più attenta alla burocrazia che al recupero, in ogni senso, dei ragazzi.

Così, la storia si snoda con bambini che saltano le lezioni per andare a vendere l’aglio o per recuperare (per poi rivendere) i rottami scovati nei cumuli di immondizia che costeggiano i palazzi in costruzione. Ci sono le baracche, con i lampadari che non funzionano ma che stanno lì, perché parte di un arredamento. Tra i banchi di questo lembo della periferia romana convivono i “regolari” e i ripetenti. Il maestro Bruno ha un obiettivo: motivarli e fornire loro gli elementi utili per avere una propria mente critica, in un contesto dove sembra che tutto debba andare allo stesso modo. Ecco, quindi, i lavori di gruppo, i consigli, la chiacchierata con chi ha vissuto da vicino il riformatorio. Nessuna nozione, nessuna accademia. Solo un approccio diverso, per entrare in empatia e stravolgere quegli schemi più vicini al pessimismo verghiano.

L’opera è una forte testimonianza dell’epoca. Ma non solo. Difatti, fa tornare in mente Daniel Pennac, che in Diario di Scuola lascia un concetto che andrebbe affisso in ogni classe: “Ero negato a scuola e non era mai stato altro che questo. Il tempo sarebbe passato, certo, e poi la crescita, certo, e i casi della vita, certo, ma io avrei attraversato l‘esistenza senza giungere ad alcun risultato. Era ben più di una certezza, ero io. Di ciò alcuni bambini si convincono molto presto e se non trovano nessuno che li faccia ricredere, siccome non si può vivere senza passione, in mancanza di meglio sviluppano la passione del fallimento”. E “Diario di un maestro” è un viaggio per smontare, pezzo per pezzo, quella passione del fallimento. Nonostante tutto.

Aggiornato il 09 settembre 2022 alle ore 18:48