Come nascono l’ispirazione e il processo artistico? Quali facoltà umane mettono in moto? Con quali criteri e meccanismi? Il primo ad avviare un tipo specifico di studi in questo campo fu il padre stesso della psicanalisi, Sigmund Freud: il quale capì che la supposta separazione (e, per alcuni, addirittura antitesi) tra conscio e inconscio, normale e patologico, umano e divino, in realtà è inesistente. O, quantomeno, che si tratta di binomi dove il confine tra le due dimensioni è sempre abbastanza sfumato, labile, mai rigido. Mentre la creatività, sino a quel momento considerata (non solo dal pensiero antico) facoltà di pochi, è stata finalmente vista come una capacità che potenzialmente, pur in varia misura, ogni individuo possiede. L’uomo di Freiberg, allora, ha concepito l’arte come uno dei mezzi più adeguati per affrontare l’esistenza: una sorta di via regia verso l’inconscio. Un po’come il sogno ma, diversamente da esso, profondamente creativa. In questa stessa linea, si collocano anche le riflessioni sull’arte di un Pontefice come Joseph Ratzinger, che l’ha definita “una porta aperta sull’infinito”.
E sempre in questa linea si colloca “La bellezza in-quieta. Artisti tra Quattro e Seicento”, che Mario Dal Bello, storico e critico d’arte e cinematografico, giornalista, docente di Storia dell’Arte alla Pontificia Università Lateranense, autore d’una quarantina di pubblicazioni culturali, ha dedicato ultimamente a tutti questi temi e alla storica questione del rapporto tra “Genio e sregolatezza”.
Banalizzato – scrive Dal Bello nella premessa al libro – nel “luogo comune che molti artisti in verità siano tutti o quasi persone inaffidabili, degli irriducibili eccentrici. Ma sarà davvero così? E se il tipo di bellezza che ne esce – prosegue l’autore – fosse invece il frutto… dell’inquietudine, di una sorte di particolare “follia”, quasi una specie di magia (dionisismo, avrebbe detto Friedrich Wilhelm Nietzsche, nda), o comunque pure di uno spropositato… tormento”, nel senso, osserviamo, del Michelangelo ritratto da Irving Stone ne “Il tormento e l’estasi”?
Tutto questo Dal Bello lo chiarisce “sul campo”: nell’ “osservazione partecipante” (direbbe un sociologo) delle “opere e i giorni” d’una ventina di artisti italiani, tra Quattro e Seicento, tra i più rappresentativi di quei secoli decisivi per la nascita della cultura e della politica moderne. L’autore ha analizzato le loro più significative creazioni, visitate – tra chiese, musei, collezioni private – per tutta l’Italia. Volutamente, Dal Bello ha evitato di soffermarsi sui nomi massimi (unica eccezione, Francesco Borromini, il genio di Sant’Ivo alla Sapienza e Sant’Agnese in Agone, che muore suicida in casa propria, trafiggendosi con una spada, il 2 agosto 1667). Sceglie, invece, di concentrarsi su una serie di nomi per i quali la bellezza non si è identificata con l’equilibrio e armonia cari a tanti maestri antichi e rinascimentali. Si va dal veneziano, poi cittadino di Ascoli Piceno, Carlo Crivelli (1435-1495), autore di polittici famosi e nature morte precaravaggesche, ma anche di “Pietà” urlanti e surreali, al toscano Filippino Lippi (1457- 1504), nato dall’unione “preluterana” tra Fra’ Filippo, pittore e l’ex- suora Lucrezia Buti. Superata la tradizione masaccesca continuata dal padre, cerca inconsapevolmente d’anticipare i maestri del futuro. Siamo ormai nel Cinquecento, ricorda Dal Bello. Ed entro il 1510 muoiono per un singolare destino, esattamente un secolo prima del Caravaggio, maestri come Sandro Botticelli, Lippi Jr. e l’enigmatico, panteista, Giorgione.
La galleria di Dal Bello prosegue col modenese Guido Mazzoni (1450-1518) e con l’inquieto genio Lorenzo Lotto (1480-1556 o ’57): autore, tra l’altro, di quell’ “Vergine annunciata” (oggi al Museo Civico di Recanati) che è senz’altro l’opera più originale, su questo tema, in tutta la storia dell’arte. Con una Madonna terrorizzata, un angelo stralunato, un gatto scattante e un Padreterno non privo di “sense of humour”, che con le mani sembra far il gesto di volersi tuffare nella stanza di Maria. Sino a Parmigianino, Pontormo, Rosso Fiorentino, Domenico Beccafumi, Guido Cagnacci e altri.
“Una schiera di “ribelli” o di “liberi seguaci”. Che formano una sinfonica e talora disturbante “variazione sul tema”. In realtà, essi bramano una sola cosa: la libertà di rispondere al desiderio di una ricerca che esprima una differente, ma non meno viva, possibile luce.
(*) Mario Dal Bello, La bellezza in-quieta. Artisti tra Quattro e Seicento”, Tab edizioni, 11 euro
Aggiornato il 25 agosto 2022 alle ore 12:37