Così parlò Hegel

L’uomo appartiene alla Natura e alla Storia? Soltanto alla Natura? Esclusivamente alla Storia? Con Georg Wilhelm Friedrich Hegel i dubbi volano. L’uomo è storico. Anzi, la Storia è l’uomo, il singolo è immerso nei procedimenti dello Spirito come una brina sulla montagna erbosa. Lo Spirito che è mai, Dio? No, lo Spirito è l’Autocoscienza che la realtà ha di se stessa, il riconoscimento che vi è un’Idea oscura, nebulosa, totale la quale, come una Madre cosmica, partorisce la Natura. Ecco, l’Idea prende coscienza dell’esistenza di un oggetto: se non vi è oggetto non è possibile una coscienza. Ma se vi è coscienza superiamo lo stato nebuloso, l’Idea. Perveniamo al soggetto (Idea) che conosce un oggetto (Natura). In tal modo, l’Idea diventa cosciente della Natura e si rende Spirito.

Lo Spirito è, dunque, la totalità che ha coscienza di sé come soggetto-oggetto. Banalizzando: la mente che guarda il corpo. Ma siamo al principio. Lo Spirito è straripante di compimenti. Polimorfo, incarnato, si veste, si sveste, si riveste, ora prende figura negli individui, ora in entità sopraindividuali, ora nelle sue eminentissime caratterizzazioni spirituali (la spiritualità dello spirito, arte, religione, filosofia) mentre nella sua incarnazione in entità comunitarie ha l’aspetto della famiglia, della società, dello Stato.

Lo Stato. Hegel stravede: è tedesco. Il Dovere e lo Stato (nello Stato)! Diventa (quasi) pindarico a nominare lo Stato. Chi è l’uomo, il soggetto, l’individuo senza lo Stato? Mancherebbe di etica, di “senso”. Lo Stato prussiano addirittura è l’espressione adempitiva, stracolma di statualità. È lo Stato Dio in terra. E che si dimostri possente e guerriero è un completamento perfettivo, indispensabile. Hegel è di un realismo unno. Il più forte è il più forte, se riesce a essere tale. Ecco la razionalità. Non il singolo che dibatte come comportarsi, ma l’affermazione della potenza statale anche nella guerra, con la guerra. Questa è la effettiva razionalità.

Ogni razionale è reale. Ogni reale è razionale”. Dunque, se si afferma, se ha la forza di diventare realtà, ciò che si attua deve contenere una ragione per essersi affermato. Dunque, appunto, è razionale. Vi è una ragione per la sua affermazione. Terrificante. Limpidissimo. Bisogna capire le ragioni di ciò che si attua e comprenderle. Non considerare “irrazionale” ciò che accade. Se avviene ha delle ragioni. Se diventa realtà ha dei motivi ed è, dunque, razionale (il termine “razionale” non significa ragioni buone ma ragioni, motivazioni). Fronteggiare la realtà come è, averne il coraggio e la consapevolezza.

Hegel ripropone, impone un procedimento della realtà inventato dai greci ma che Egli suprematizza: la dialettica. Dialettica è l’interlocuzione, il dire e replicare, il pro e il contro, Sic et non di Abelardo, il Videtur quod non sed contra di Tommaso (da distinguere, ovviamente) ma è anche soprattutto il divenire del fulminoso Eraclito. Lotta, conflitto, niente esiste che non abbia un contrario. Niente può definirsi se dal suo contrario, diciamo notte quel che non è giorno, luce quel che non è scuro. E non basta: tutto quanto esiste nega se stesso continuamente. L’essere vivendo muore, l’acqua corre, il vento non sosta, la vita passa, niente è fermo in se stesso.

Luce, buio, giorno, notte, ma la notte che diventa mattino quindi è auto-dialettica, mutamento, negazione. Questa è la realtà: un divenire assiduo, un contrasto, un superamento, un accrescimento. Eppure, la dialettica, il divenire sontuoso che si colma di ogni contrasto, lo assume, lo supera, si placa nello Stato! Tanto rumore da Oriente a Occidente(!) e per concludere che lo Stato prussiano è il punto di arrivo della storia.

Almeno Giambattista Vico indicava una meta lontanissima (la Storia ideale eterna) invece Hegel scuote le montagne mondiali da Oriente a Occidente, per segnare il punto d’arrivo nello Stato prussiano! Ne ebbe irrisione e villanie e, paradossalmente, una filosofia così avversa che alterò la filosofia come Egli aveva alterato quella precedente.

Svolgimenti imperiali, tra chi lo capovolge accettandone la dialettica “materializzandola” (Karl Marx) e chi lo spianta del tutto (Søren Kierkegaard, Arthur Schopenhauer, Friedrich Wilhelm Nietzsche, Max Stirner). Ma l’uomo come soggetto storico e totalmente storico finalizzato al trionfo dell’Occidente ha in Hegel il cantore concettuale più sistematico (con Marx). Personalità che in vari modi permettono di tener conto e capire, non di avere un’opinione, perché si ha una testa.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel Hegel nacque a Stoccarda nel 1770 (lo stesso anno di Ludwig van Beethoven, musicista dialettico come nessuno). Epoca insuperata della cultura tedesca. Hegel fu appassionato di studi teologici, la Sua concezione in fondo è un provvidenzialismo immanentista, non è Dio a orientare gli eventi ma lo svolgimento “razionale” nel senso detto dello Spirito. Gradiva studiare e insegnare, è tra i personaggi “nati professori”: precettore privato, docente a Jena, quindi infine a Berlino. Si sposò ed ebbe una vita domestica calma. Di famiglia apparteneva alla borghesia e la società civile che Egli apprezza ha per modello la società borghese. Ammirò Napoleone, giacché pur essendo filosofo dell’andamento delle civiltà non eliminava la presenza delle personalità. Necessariamente. Sarebbe da leggere quanto scrive di Hegel il personaggio (con Beethoven e Lutero) più consistente della civiltà tedesca, Johann Wolfgang von Goethe, ironico e sorpreso. Ma Goethe era un tedesco-greco, Hegel un teologo storicista. L’arte in Hegel era inferiore alla filosofia, quest’ultima costituirebbe l’autocoscienza che il processo dello Spirito ha compiuto. Errore fatale. L’arte è coscienza e sentire, è raddoppiamento della vita. Contiene la concettualità ma la rende vitale non semplice conoscenza. È un punto essenziale per definire la modernità.

Aggiornato il 01 agosto 2022 alle ore 11:50