“Nope”, il nuovo horror di Jordan Peele

Jordan Peele torna dietro la macchina da presa. Il regista newyorkese firma un nuovo horror d’autore, Nope. Il terzo. Dopo il folgorante esordio del 2017, Get out (film premiato con l’Oscar per la Migliore sceneggiatura originale) e Us (2019), Peele, ex autore e attore comico diventato un cineasta celebrato da critica e pubblico, ridefinisce l’atto di “guardare”. Per queste ragioni, richiama l’attore londinese Daniel Kaluuya, già protagonista del primo film, e dirige l’attrice-cantante Keke Palmer per imbastire una sorta di western fantascientifico attraversato da atmosfere thriller e terrore puro. I due attori si calano nei panni di fratello e sorella, Oj e Emerald Haywood. I due giovani lavorano nel ranch in California, ereditato dopo la morte del padre Otis sr. L'attività di famiglia riguarda l'addestramento di cavalli selvaggi per l'industria del cinema. Il ranch è teatro di fatti sempre più strani e inspiegabili. Si pensa a una presenza extraterrestre e ostile.

Il film, in arrivo in Italia l’11 agosto (con anteprima romana per la quale sono arrivati Kaluuya e Palmer) distribuito da Universal ha debuttato direttamente al primo posto del botteghino Usa, incassando ben 44 milioni di dollari nel weekend, il migliore debutto per una storia originale dall’inizio della pandemia. Dopo i thriller horror che affrontavano apertamente temi sociali, come il razzismo negli Usa in Get out e l’isolamento delle parti più fragili della società in Us, Peele stavolta regala al pubblico un film di più ampio respiro visivo, nato per il grande schermo, che tuttavia non dimentica tematiche importanti, come una critica non troppo velata ad Hollywood, alla società spettacolo e una riflessione sui “volutamente dimenticati” dalla storia Usa, come i cowboy di colore.

Peele era “partito dell’idea di mettere gli spettatori nell’esperienza immersiva di essere in presenza di un Ufo. Ma poi l’idea si è ampliata. Volevo creare uno spettacolo, qualcosa che promuovesse la mia forma d’arte preferita e il mio modo preferito di guardare quella forma d’arte: l’esperienza in sala. Quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura, ho iniziato anche a scavare nella natura di ciò che consideriamo spettacolo, nella dipendenza che crea e nella natura insidiosa del bisogno d’attenzione”.

Aggiornato il 26 luglio 2022 alle ore 16:46