Idealismo moderno e/o opera realizzativa

Le radici dell’Idealismo – Lettere (di Julius Evola) a Benedetto Croce e Giovanni Gentile, a cura di Stefano Arcella, con introduzione di Hervé A. Cavallera e postfazione di Giovanni Sessa, edito dalla Fondazione Julius Evola per i tipi de I libri del Borghese, colma una lacuna nella storia della filosofia italiana del millenovecento. Giovanni Sessa inizia il suo saggio finale con una citazione di Franco Volpi, lo storico della filosofia dell’Università degli studi di Padova prematuramente scomparso, perché travolto da un’automobile mentre pedalava al sellino della sua bicicletta.

Questi, nel 2006, per introdurre una nuova edizione de I saggi sull’idealismo magico: “Si augurava fosse giunto il momento che l’esegesi filosofica più accorta si lasciasse alle spalle i pregiudizi attraverso i quali l’opera del pensatore tradizionalista era stata letta nel corso del tempo”. Occorreva ricollocarla nel suo giusto posto, quale una terza forma di pensiero idealista, accanto al crociano ed al gentiliano. Queste lettere ebbero uno scopo e dei risultati pratici: la pubblicazione di alcune opere pei tipi di Laterza in Bari, su intervento di Benedetto Croce, e l’assegnazione di alcune voci per l’Enciclopedia italiana, delle quali una sola firmata, da parte di Giovanni Gentile.

Tuttavia, i testi rilevano una sorpresa, se si pensa alle rispettive posizioni non solo filosofiche ma politiche: la maggiore apertura nei confronti di Evola da parte di Benedetto Croce, rispetto la freddezza di Giovanni Gentile e Ugo Spirito. Oltre ai motivi che il lettore troverà nei saggi di Stefano Arcella ed Hervé A. Cavallera, e al temperamento del gran signore abruzzese inseritosi nel cordiale ambiente partenopeo, è da ricordare come il Croce, cresciuto tra idealisti di grande spessore, dopo aver perso tutta la famiglia nel terremoto di Casamicciola fu adottato dagli zii Silvio e Bertrando Spaventa, in una guerra guerreggiata contro il positivismo imperante, difese sempre i commilitoni idealisti, anche lontani da lui.

Si pensi ad Alfredo Oriani. Tra l’altro, in Alfredo Oriani, a pensarci bene, il mazziniano Pensiero e azione si completa in Pensiero volontà e azione, e l’elemento della volontà, nell’idealismo magico di Evola, è fondamentale. Poi vi fu il debito comune verso Giambattista Vico, sebbene letto in modo molto diverso, francamente opposto. Tuttavia, sia l’interessamento, in gran parte erudito e bibliofilo, di Benedetto Croce per gli ermetisti rinascimentali, che quello di Giovanni Gentile per Giordano Bruno, furono avulsi dal quadro tradizionale in cui quel pensiero si pose, invece, riproposto da Evola: quello di un idealismo in cui la realtà fisica è simbolo, sul piano materiale, di un’idea noetica, nel mondo delle essenze. L’idealismo antico è trascendente, in quanto il supercielo delle essenze noetiche trascende il mondo, umbratile, della realtà fisica, riflesso materiale di esse, che, a loro volta, è simbolo significante delle idee significate.

Tanto l’idealismo storicista crociano che l’attualismo gentiliano sono trascendentali, in quanto a priori meramente funzionali alla conoscenza della realtà oggettiva, ma pur sempre immanenti. Ciò poiché Immanuel Kant escluse da ogni conoscenza possibile il noumeno, la verità in sé, limitando la conoscenza del filosofo e in genere della scienza al fenomeno, cioè alla mera realtà fisica che ci si para innanzi. Tutto il resto sarebbe fantasia. Uno scritto giovanile del pensatore di Königsberg è, forse, più significativo delle più celebri e mature Critiche per comprendere come questa negazione d’una possibilità della noetica sia maturata: I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica. Quelle pagine nacquero dalla necessità di rispondere ad una certa signorina Charlotte, in merito alla raccolta degli Arcana Cœlestia di Emanuel Swedenborg.

L’opera fu programmata in otto volumi, ma, per compiacere la fanciulla, Immanuel Kant ne lesse i primi cinque, usciti in Londra tra il 1747 ed il 1758. Gli altri tre fecero gemere i torchi, sempre a Londra, nel 1796. L’opera riguardò le percezioni e visioni dell’autore di esse angeliche, ed a Kant parvero frutto di fantasia e ciarlataneria. Ne trattò con fare ironico. Certamente Emanuel Swedenborg andò oltre il segno. Nello scrivere, le sue intuizioni materalizzano in modo senz’altro eccessivo le essenze angeliche. Fu questa cattiva digestione a convincere Immanuel Kant a lasciar stare il supercielo noumenico. Invece Julius Evola, nel rifarsi alla tradizione antica, non solo va oltre la realtà positiva in quanto ritiene, come Pitagora e Platone, le verità delle cose vada cercata proprio nel noumeno, ma il suo idealismo è magico, cioè relizzativo. La volontà dell’Io, intendendo il Sé superiore, si realizza proprio operando su quelle essenze, per incidere sulla realtà materiale.

Le operazioni tentate dal Gruppo di Ur furono di questa natura. A tal punto, si permetta notare come, se si confronta Julus Evola con i platonici del IV secolo, appaia più vicino a Giamblico che a Plotino o Porfirio, per via dell’operatività teurgica praticata dal primo, considerata pericolosa dagli altri due. Tornando al confronto coll’idealismo trascendentale moderno, va notato come Croce e Gentile fossero più chiusi alle istanze noetiche rispetto non solo Johann Gottlieb Fichte e Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling ma anche a Georg Wilhelm Friedrich Hegel, certamente per via della grande influenza esercitata dal rosacrucianesimo sul mondo spirituale tedesco, a scavalco d’Immanuel Kant. Il teologo, si definì sempre tale, di Stoccarda, nel citare, vado a mente perché non ho con me le sue opere, una storia della filosofia uscita in allora, secondo la quale nelle scuole antiche, v’era un insegnamento essoterico, esteriore, pel grosso pubblico ed uno esoterico, interiore, riservato agli iniziati, cosa per altro vera, afferma l’autore non conoscere, con evidenza, come si scrivono i testi filosofici.

Ognuno d’essi ha un senso esteriore, compreso dalla generalità dei lettori, ed uno esoterico, per gli iniziati al pensiero. Il che suona una confessione sulla struttura dei propri testi. Il concetto di Benedetto Croce e l’atto puro di Giovanni Gentile sono concezioni meramente razionali, mentali, senza lasciare spazio all’intuizione od essere simboli di verità noetiche, e tanto meno premesse di sviluppi realizzativi. Non vedo dove Giovanni Sessa possa vedere una maggiore affinità del pensiero gentiliano con quello evoliano. Di contro, si potrebbe sostenere che la dialettica dei distinti crociana, nel momento in cui riconosce l’estetica, l’etica, la verità scientifica, l’utile economico come tutti momenti dello spirito, “buchi” l’immanentismo e, quindi, potrebbe aprire ad una trascendenza. Sarebbe, però, arbitrario come vedere un qualcosa di realizzativo nell’atto puro.

Aggiornato il 21 luglio 2022 alle ore 11:28