Utopiamoci

Quando scrissi Breve storia dell’Utopia, edizioni Spirali, e la biografia di Karl Marx, Marx contro Marx, Dino Editore, mi fissai mentalmente sia alcuni aspetti dell’utopia, sia alcuni aspetti di Marx, il quale tenta di rendere scientifica l’utopia, realizzabile. E cosa rende attuabile l’utopia? La tecnologia. Sia gli utopisti moderni sia Marx affidano alla tecnologia un compito estremo, la trasformazione concretizzabile della realtà sociale e naturale. Se, come dice Marx, i filosofi hanno pensato di trasformare il mondo non trasformandolo, con la prassi, ossia con i mezzi tecnologici, la modificazione avviene effettivamente. Ovviamente la tecnologia deve essere razionalizzata, ma questo è un altro aspetto, ossia la capacità dell’uomo di dirigere la società, non essere diretto dalla società.

Com’è a tutti noto, per Marx sarebbe stato il proletariato a rivoluzionare la società rendendola finalizzata ai bisogni (da ciascuno secondo il suo lavoro a ciascuno secondo i suoi bisogni). Quindi dovremmo giungere a una società nella quale lo scopo dei sistemi produttivi è quello di venire incontro ai bisogni? Non più il profitto come motore della società (Adam Smith) ma i bisogni della società? Credo necessarissimo discutere questo punto, perché, che sta avvenendo? Una sorta di marxismo alla spicciolata, furtivo, elemosinante. Vale a dire, siccome si è ormai convinti che non ci sarà lavoro in quanto l’automazione lo sostituisce e la produttività aumentata ha bisogno di meno lavoratori, ai cosiddetti “esuberi” si dà l’elemosina in varie articolazioni.

Ecco una delle cause della rovina attuale: non avere il coraggio di affrontare la problematica della disoccupazione da tecnologia, che sarà in futuro di una gravità oceanica e millimetrica, ma sarà il vero problema del futuro e porrà un enigma al capitalismo: che fare del profitto se il profitto dovuto alla tecnologia elimina lavoro? Si può ancora considerare il profitto come nel passato, o il profitto deve avere un’altra finalità? e quale? La risposta è più semplice di quanto sembri. Le imprese devono considerare primaria l’occupazione, volgere il profitto ai fini dell’occupazione fino a giungere alla produzione finalizzata ai bisogni.

Questo farebbe esplodere la domanda e creerebbe una società senza povertà. Che differenza c’è dall’elemosina data a gente che non lavora e questa “soluzione”? Nettissima. La soluzione dell’elemosina, tenendo l’impresa del profitto, obbliga a tassazioni, debito e quindi è assolutamente improduttiva e comporta gli effetti che stiamo vivendo. Debito, inflazione, lavoro nero. Se invece tutta la società si volgesse alla produzione, spingendo al massimo per dare il massimo alla soddisfazione di bisogni, si avrebbe l’opposto, magari la gente lavorerebbe pochissimo ma lavorerebbero moltissimi. Non vi sarebbe l’elemosina, il lazzaronismo, ma un adeguamento del lavoro umano all’esuberante produttività delle macchine.

Se le macchine producono immensamente è inevitabile che gli uomini lavorino di meno, inevitabile assolutamente inevitabile, a meno che non si facciano lavorare pochi nel vecchio orario, e molti disoccupati con l’elemosina, producendo le storture di cui ho detto. Allora quale potrebbe essere l’impegno, lo studio, la ricerca, l’indagine fondamentale oggi per essere adeguati all’enorme sviluppo tecnologico? Considerare parametri di quantità lavorativa dell’uomo che permettano la massima occupazione, la massima produzione, la massima distribuzione di ricchezza, una ricchezza non elargita come carità, ma come nuovo criterio dell’aumentata produttività.

Se un lavoratore in un’ora fa quel che prima faceva in cinque ore, poniamo, abbia il salario di cinque ore, questo è contro il profitto? Certo che è contro il profitto, ma se il profitto è contro l’occupazione che dobbiamo fare? Tutti gli utopisti, da Thomas More a Tommaso Campanella, hanno posto nella relazione dell’orario di lavoro con la produzione la loro base storica, e lo stesso Marx, che ritenne di trasformare l’utopia in scienza, in fondo scrisse che la prima meta da raggiungere aumentando la produttività è la riduzione dell’orario di lavoro. Insomma sia chiaro, continuando come in passato noi avremo il crollo economico peggiore di tutta la storia perché non è ammissibile che col mutare della produttività non muti il sistema produttivo, è sempre avvenuto e deve avvenire.

Avremo una crisi di sistema. Se poi vi è altra scelta all’adeguamento della potenza produttiva ai bisogni sociali, si affaccino le proposte, ma non si creda minimamente che guerre, dazi, sanzioni, chiusure, autarchie e quant’altro servano a contenere la potenza produttiva o che possano mantenerla solo perché vince qualcuno. È l’illusione che sta accadendo ed è più utopistica delle utopie. In tutto ciò vi è una utopia del tutto personale, i miei libri citati sono ancora in vendita su Amazon. Sono andati via quaranta anni.

Aggiornato il 25 maggio 2022 alle ore 12:45